Tempi facili per i bugiardi. Avere letto bene: facili, non difficili. Da qualche tempo la scienza, con la complicità niente affatto secondaria della tv, ci aveva quasi convinto che smascherare un mentitore fosse una questione di tecnica. Un bel corso universitario, magari un semestre al Cepu in compagnia di Vieri e Del Piero, ed eccoci esperti in microespressioni, variazioni nel tono della voce, sfuggenti acrobazie con i bulbi oculari, sudorini improvvisi, la presenza della faccia del soggetto in esame su un cartellone elettorale: tutto ciò, insomma, che da mondo e mondo rivela l’imminente parto di una o più panzane.
La stessa ricerca che ci aveva illuso giunge ora a disincantarci: mentire è quasi esclusivamente una questione di abitudine e così come esiste una tecnica capace (in teoria) di svelare le bugie, c’è anche una controtecnica in grado (in pratica) di nasconderle per bene. Il segreto, a quanto pare, sarebbe tutto nel proporre le fregnacce nel modo più sintetico e rapido possibile. Le menzogne, assicurano i ricercatori, vengono di solito trasmesse attraverso discorsi lunghi, esitanti, infarciti di particolari: il bugiardo, annaspando in cerca di credibilità, si sente costretto ad aggiungere dettagli, precisazioni, sottolineature e non di rado, senza che se ne accorga, finisce per promettere di abbassare le tasse. Tutto questo deve insospettire. Chi dice la verità, di solito, è talmente sicuro di sé da non aver bisogno di alcuna spiegazione suppletiva: va dritto al punto e a quello si attiene. Per questa ragione, nei rapporti personali come nel lavoro e - neanche a dirlo - nella politica, semplicità e franchezza, qualche volta perfino ruvidità, sono sempre apprezzabili: rivelano l’onestà dell’interlocutore.
Nella parola scritta questo parametro non è valido e, tra le righe, onestà e inganni si mescolano come i colori su una tavolozza. Il bello è che, quando la mescolanza produce la sfumatura della verità, non c’è pericolo che ci sfugga. La si riconosce subito e ha un nome magnifico: poesia.
La stessa ricerca che ci aveva illuso giunge ora a disincantarci: mentire è quasi esclusivamente una questione di abitudine e così come esiste una tecnica capace (in teoria) di svelare le bugie, c’è anche una controtecnica in grado (in pratica) di nasconderle per bene. Il segreto, a quanto pare, sarebbe tutto nel proporre le fregnacce nel modo più sintetico e rapido possibile. Le menzogne, assicurano i ricercatori, vengono di solito trasmesse attraverso discorsi lunghi, esitanti, infarciti di particolari: il bugiardo, annaspando in cerca di credibilità, si sente costretto ad aggiungere dettagli, precisazioni, sottolineature e non di rado, senza che se ne accorga, finisce per promettere di abbassare le tasse. Tutto questo deve insospettire. Chi dice la verità, di solito, è talmente sicuro di sé da non aver bisogno di alcuna spiegazione suppletiva: va dritto al punto e a quello si attiene. Per questa ragione, nei rapporti personali come nel lavoro e - neanche a dirlo - nella politica, semplicità e franchezza, qualche volta perfino ruvidità, sono sempre apprezzabili: rivelano l’onestà dell’interlocutore.
Nella parola scritta questo parametro non è valido e, tra le righe, onestà e inganni si mescolano come i colori su una tavolozza. Il bello è che, quando la mescolanza produce la sfumatura della verità, non c’è pericolo che ci sfugga. La si riconosce subito e ha un nome magnifico: poesia.
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