Tra le inutili invenzioni spuntate di recente ce n’è una che proprio invenzione non è; si direbbe piuttosto una trovata, ma mi piace definirla "invenzione" per far da controcanto ironico a chi l’ha inventata, che ora certamente si crede, appunto, "inventore".
Ci sono riviste - di sicuro ce n’è almeno una - che in calce agli articoli inseriscono una postilla così concepita: «Tempo di lettura previsto: 5 minuti». Il «tempo di lettura previsto» non è sempre 5 minuti: a volte è 9, 7 o anche 11. Questo accorgimento immagino sia pensato a tutela di un lettore che nella redazione della rivista si figurano occupatissimo, impegnato in faccende di strabiliante complessità e, ovviamente, di estrema delicatezza. Un lettore, insomma, il cui tempo si misura, letteralmente, in denaro e non in banali linee tipografiche. E dev’essere così, perché quale altro lettore leggerebbe una rivista come la loro: così patinata, così esclusiva, così interessante e tuttavia così discreta? Una rivista che non si permetterebbe mai di intralciare la giornata del suo lettore senza prima avvisarlo di quanto tempo ogni articolo si prevede gli farà perdere.
Balle, naturalmente, perché nessuna rivista è così: alcune cercano però di farlo credere. E invece finiscono per offendere sia il tempo sia la lettura e sviliscono il concetto di «tempo di lettura», che invece è bello pensare come a un tempo guadagnato e non speso, un tempo che si vorrebbe allungare e non accorciare il più possibile. Mi piacerebbe che, per ripicca, un editore volesse aggiungere, in calce all’Odissea o alla Divina commedia, le parole: «Tempo di lettura: infinito».
Ci sono riviste - di sicuro ce n’è almeno una - che in calce agli articoli inseriscono una postilla così concepita: «Tempo di lettura previsto: 5 minuti». Il «tempo di lettura previsto» non è sempre 5 minuti: a volte è 9, 7 o anche 11. Questo accorgimento immagino sia pensato a tutela di un lettore che nella redazione della rivista si figurano occupatissimo, impegnato in faccende di strabiliante complessità e, ovviamente, di estrema delicatezza. Un lettore, insomma, il cui tempo si misura, letteralmente, in denaro e non in banali linee tipografiche. E dev’essere così, perché quale altro lettore leggerebbe una rivista come la loro: così patinata, così esclusiva, così interessante e tuttavia così discreta? Una rivista che non si permetterebbe mai di intralciare la giornata del suo lettore senza prima avvisarlo di quanto tempo ogni articolo si prevede gli farà perdere.
Balle, naturalmente, perché nessuna rivista è così: alcune cercano però di farlo credere. E invece finiscono per offendere sia il tempo sia la lettura e sviliscono il concetto di «tempo di lettura», che invece è bello pensare come a un tempo guadagnato e non speso, un tempo che si vorrebbe allungare e non accorciare il più possibile. Mi piacerebbe che, per ripicca, un editore volesse aggiungere, in calce all’Odissea o alla Divina commedia, le parole: «Tempo di lettura: infinito».
© RIPRODUZIONE RISERVATA