Tempo perso

Costeggio la strada e, un poco alla volta, oltre la rete, la familiare figurina prende forma. È la signora Malinpeggio che, nell’orto, devotamente annaffia le sue piantine. Una scena a me ben nota e tuttavia, questa volta, le mie acutissime facoltà mentali colgono qualcosa di strano nel comportamento della signora e mi decido a rivolgerle la parola. «Signora...»

«Che cosa c’è? Non vede che ho da fare?»

«Lo vedo, appunto. È questo che mi sembra strano. Lei sta innaffiando...»

«A lei non la si fa, eh? Sherlock Holmes, al suo confronto, è un dilettante».

«Non faccia finta di niente, signora! Lei sta innaffiando proprio mentre, dopo tanti giorni di siccità, finalmente piove e temporaleggia. Non le sembra fatica sprecata?»

«Tutt’altro! Sto coltivando».

«Come dice?»

«Dico che sto coltivando. Non l’orto, si capisce. Ma un’abitudine. A quest’ora io innaffio sempre: perché quattro gocce dovrebbero impedirmelo?»

«Ma...»

«Ma, niente. Lo so che voi capelloni disprezzate le abitudini, le considerate una trappola, una schiavitù e tante altre sciocchezze ancora».

«Ma è vero! Le abitudini ci fanno prigionieri..»

«Prigioniero sarà lei, caro il mio teddy boy. Alla mia età l’abitudine diventa un rito».

«Questa me la deve spiegare».

«È presto detto. Alla mia età il tempo corre ancora più in fretta che alla sua. Ce l’ha insegnato Einstein che il tempo è relativo, anche se quello zuccone pensava alla velocità della luce e a fesserie del genere. Il tempo è invece relativo all’età. Alla mia età corre e solo le abitudini lo rallentano».

«Davvero?»

«Certo! È scientificamente provato. Prenda il nostro caso. Mentre innaffiavo sola soletta mi sentivo eterna, fuori dal tempo, felice. Poi è arrivato lei con le sue chiacchiere e guardi quanto tempo mi ha già fatto perdere!»

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