Teresa

Teresa

Un paio di giorni fa ho ricevuto una chiamata di telemarketing che mi ha lasciato basito. Ancor prima che potessi gentilmente invitare l’operatore a ficcare la testa nella lavatrice e ad avviare la centrifuga, consiglio che sempre elargisco in questi casi, è accaduto l’imponderabile: il menzionato operatore, dopo avermi rivolto appena una battuta («Buongiorno, chiamo per conto di...»), di colpo mi ha ignorato per rivolgersi a una collega di passaggio («Teresa! Ascolta Teresa, ti volevo dire...»).

Ho agganciato in preda a sentimenti contrastanti. Il primo di sollievo, perché mi era stata risparmiata la "fase due" della conversazione, quella in cui senz’altro declino, gentilmente ma con fermezza, ogni possibile offerta. Il secondo di stizza, per essere stato bellamente ignorato in favore di una vispa Teresa qualunque.

L’episodio ha lasciato un segno tale nella mia giornata che, più tardi, ho compiuto qualche ricerca in Rete a proposito di telemarketing. Non mi ha sorpreso apprendere come su videojug.com, un sito americano zeppo di filmati per imparare a far da sé di tutto e di più, una delle scelte più popolari cada su un "tutorial" che insegna a sbarazzarsi degli operatori invadenti.

Capisco bene come, di questi tempi, molta gente non possa permettersi di rifiutare un impiego in un call center e pertanto - scherzo sulla lavatrice a parte - esito sempre prima di interrompere una telefonata, tuttavia la repulsione per queste intempestive e petulanti invasioni della privacy è un moto che mi sembra naturale. In America una serie di leggi aiuta il cittadino a tenere alla larga il telemarketing: noi, forse, manchiamo ancora di questo tipo di strumenti. Ho detto "noi" ma avrei dovuto dire "voi". Io, infatti, sono a posto. La prossima volta che qualcuno chiama, dirò: «Guardi, a me non interessa. Magari provi con Teresa».

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