Sapete qual è il più grosso problema da superare per un povero diavolo che decida di mettere in piedi una guerra santa come si deve? Semplice: l’incompetenza dei collaboratori. Lo si deduce dalle lettere di Osama Bin Laden, trovate nel suo ultimo rifugio ad Abbottabad, prontamente tradotte (e pubblicate) dal Centro di combattimento al terrorismo dell’Accademia di West Point.
In molta parte dei manoscritti, Osama si lamenta di come gli risulti difficile coordinare i gruppi regionali di al-Qaeda e della tendenza di questi a coinvolgere civili musulmani negli attentati. Inoltre, egli critica aspramente l’inclinazione dei singoli membri a rilasciare inopportune dichiarazioni pubbliche. Più che il terrorista numero 1 al mondo, Osama sembra lo stanco manager di una catena di lavanderie: sempre affannato a spiegare alle filiali più remote quanto detersivo devono utilizzare e che cosa fare quando la camicia di un cliente esce dalla lavatrice ridotta come la bandiera francese a Waterloo.
Una guerra santa è un’operazione complessa: richiede disciplina e precisione. A detta di Osama certi jihadisti, più che della sua guida, avrebbero bisogno della supervisione di Brunetta: pause pranzo infinite, una decisa tendenza all’assenteismo e un continuo cavillare sul termine "missione suicida" fanno di questi combattenti un freno alla vittoria finale, non un motore.
Problemi di Osama o, meglio, di chi gli è succeduto. A noi interessa notare come nell’eterna lotta tra il bene e il male ci sia un terzo incomodo: l’incompetenza. La quale sembra assumere un ruolo di arbitro piuttosto equo: se il bene non ha ancora vinto è certo per colpa sua, ma è altrettanto vero che finora ha impedito al male di trionfare. Insomma, la prossima volta che vedete un inetto, ringraziatelo per tutto il male che non è stato capace di farvi.
In molta parte dei manoscritti, Osama si lamenta di come gli risulti difficile coordinare i gruppi regionali di al-Qaeda e della tendenza di questi a coinvolgere civili musulmani negli attentati. Inoltre, egli critica aspramente l’inclinazione dei singoli membri a rilasciare inopportune dichiarazioni pubbliche. Più che il terrorista numero 1 al mondo, Osama sembra lo stanco manager di una catena di lavanderie: sempre affannato a spiegare alle filiali più remote quanto detersivo devono utilizzare e che cosa fare quando la camicia di un cliente esce dalla lavatrice ridotta come la bandiera francese a Waterloo.
Una guerra santa è un’operazione complessa: richiede disciplina e precisione. A detta di Osama certi jihadisti, più che della sua guida, avrebbero bisogno della supervisione di Brunetta: pause pranzo infinite, una decisa tendenza all’assenteismo e un continuo cavillare sul termine "missione suicida" fanno di questi combattenti un freno alla vittoria finale, non un motore.
Problemi di Osama o, meglio, di chi gli è succeduto. A noi interessa notare come nell’eterna lotta tra il bene e il male ci sia un terzo incomodo: l’incompetenza. La quale sembra assumere un ruolo di arbitro piuttosto equo: se il bene non ha ancora vinto è certo per colpa sua, ma è altrettanto vero che finora ha impedito al male di trionfare. Insomma, la prossima volta che vedete un inetto, ringraziatelo per tutto il male che non è stato capace di farvi.
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