The Wall

The Wall

Con una grande operazione commerciale, la Emi sta pubblicando ogni immaginabile versione celebrativa di "The Wall", il disco dei Pink Floyd uscito nel 1979. Le più recenti si chiamano "Immersion", "Experience" e "Lp": le prime due più che con la musica sembrano avere a che fare con un centro benessere.

Personalmente, sono lieto che si celebri "The Wall" perché è un gran bel disco, anche se trovo gli "extra", i "demo", le foto inedite, le macchie di unto sulla canottiera di Nick Mason ricostruite in 3D, la lista della spesa della zia di Roger Waters laminata in oro, un intero cognato di David Gilmour mummificato e unito alla confezione, tutto questo, dicevo, lo trovo un tantino eccessivo e francamente superfluo. Per me, è sufficiente poter riparlare di "The Wall", soprattutto perché appartiene a un’epoca nella quale un nuovo disco - ovvero un prodotto fatto di idee tradotte in suoni e parole - poteva ancora essere un "evento".

L’uscita di un lavoro del peso specifico di "The Wall" divideva infatti il tempo in "pre The Wall" e "dopo The Wall": ed è proprio questo che io intendo con "evento". Allora, però, nessuno parlava di "evento": lo si viveva e basta, senza nominarlo. "Evento" è una parola che si usa oggi per evocare qualcosa che non si riesce più a ottenere. Come quando uno dice «clamoroso!», per poi annunciare qualcosa di scontato. Il fatto è che finché continuiamo a evocare "eventi" fasulli, ovvero a pianificare emozioni, non usciranno mai più dischi come "The Wall". E lo scrivo - clamoroso! - mentre ascolto la mia copia del disco, quella del 1979.

© RIPRODUZIONE RISERVATA