Ti faccio un film

Ti faccio un film

Sono incominciate le riprese di un film sulla storia di Amanda Knox, la studentessa americana condannata in primo grado per l’omicidio di Meredith Kercher, delitto avvenuto a Perugia il primo novembre 2007. La notizia mi trova perplesso e spiego perché: non vi pare che sia un tantino presto? Capisco: i produttori del film desiderano sfruttare l’interesse che il clamoroso fatto di cronaca ancora suscita ma, ammesso e non concesso che vogliano fare un buon lavoro, come pensano di riuscirci?
Colpevolisti o innocentisti, poco importa. È evidente che sul personaggio di Amanda non basta una sentenza a dire l’ultima parola. E neppure la penultima, quella che se non altro potrebbe rilevare con nitidezza le contraddizioni di questa figura, emersa come un enigma agli onori della cronaca. Sulla cronaca, io credo, sono ammesse inchieste giornalistiche, instant book, documentari e, per quanto di ardua digestione, perfino plastici e "ricostruzioni virtuali". Ma, un film? Avrei giurato che, in una sala cinematografica, il pubblico si attendesse qualcosa di più solido, di ragionato, di costruito anche, grazie a quel distacco "storico" dalla vicenda necessario a chi voglia dirne qualcosa di "serio" se non di definitivo. Ma, forse, non è più così e per fare un film non serve altro che la volontà, o il cinismo, di farlo. Finiremo per farci dei film addosso, l’un con l’altro. Di scena oggi: «La prostatite di quello del terzo piano». Va bene così: tanto questi film non li vedrà nessuno. Il che è morboso e raggelante insieme. Proprio come un delitto.

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