Titolo di viaggio

Trovo giusto riconoscere quei gesti che, sempre troppo raramente, si compiono nei confronti del prossimo più bisognoso. È dunque con un gioioso triplo salto mortale del cuore che ho salutato, ieri, l’iniziativa delle ferrovie locali di riservare alcuni posti ad anziani e/o donne in stato di gravidanza.

La compagnia ferroviaria, convertita al politicamente corretto e alla solidarietà sociale, ha dunque apposto accanto ad alcuni sedili - quelli di solito occupati da adolescenti che si ficcano reciprocamente le scarpe in bocca - una coppia di cartelli che raffigura una sagoma umana con un bastone (l’anziano) e un’altra figura sformata a livello dell’addome, simile alla silhouette di Sophia Loren in “Ieri, oggi e domani”.

Che le ferrovie si occupino del confort di anziani e puerpere è buona cosa. A voler essere pignoli si potrebbe far notare che il treno sul quale ho notato questa civilissima iniziativa era in ritardo di dieci minuti e, pertanto, l’ipotetico ottuagenario, così come l’ipotetica futura mammina, avrebbero dovuto sopportare i disagi di un’attesa inutile e irritante prima di potersi accomodare nei posti a loro riservati.

Certo, avrebbero potuto “accomodarsi” in sala d’aspetto, quel locale che, certamente per fini culturali e di conservazione della memoria, l’amministrazione ferroviaria vuole modellato sullo stile “interno di gulag sovietico”, ma nulla avrebbe potuto spingerli con più vigore verso un precoce invecchiamento e un travaglio particolarmente accidentato.

Il paradosso, chiamiamolo così, del treno in ritardo e dei cartelli soccorrevoli mi ha fatto pensare come quelle due sagome - l’omino con il bastone e la donna con la pancia smodata - rappresentino alla perfezione il concetto che tante autorità - quelle che applicano regole, erogano servizi e pretendono contributi - hanno di noi: un’immagine astratta, stilizzata, vaga e impersonale. Pupazzi ai quali è lecito rivolgere espressioni come “titolo di viaggio” invece di “biglietto”.

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