Titoloni e titolini

Tra i vantaggi del tenere una rubrica quotidiana c’è quello che consente di avere una sorta di "rapporto diretto" con i lettori. Non fingerò di essere sommerso di lettere, come capita a personaggi importanti quali premi Nobel e tronisti, ma posso dire senza tema di smentita che mail, messaggi e lettere non sono poi eventi così rari. Alcuni si limitano a mandare due righe di apprezzamento o a esternare il loro disappunto. Altri chiedono chiarimenti, pochi insultano, i più, soccorrevoli e gentili (nonché perfettamente consapevoli della situazione), mi consigliano cure psichiatriche, «che tanto bene hanno fatto al povero zio Carlo». Nel mucchio - beh, diciamo nel mucchietto - spicca però una lettera, arrivata giusto ieri, a firma "Adalgisa". La signora Adalgisa non si rivolge direttamente a me ma, come si fa con i pazzi (e chi può biasimarla?), chiede se qualcuno può farmi avere il suo messaggio. Il quale consiste in una tirata d’orecchi per l’articolo uscito lo scorso 17 gennaio, intitolato "Cartolina dal disastro".

«Il disastro» scrive la signora, «ce lo indicate tutti i giorni con i "titoloni" disastranti: bastano le notizie amare. Ci sono da ricordare anche le virtù teologali, fra cui la speranza. Proviamo a recuperarne un pochino al giorno: senza incoraggiamento muore del tutto e noi con lei, ma... ci sono i bimbi buoni, aiutiamoli a respirare con "cartoline positive"».

Devo riconoscerlo: l’articolo in questione non contiene le mie righe più spensierate. Quel giorno, tra il mio umore e il paesaggio urbano - da me descritto come un "disastro" - c’era una reciproca influenza in negativo. Alti e bassi capitano, anche nello scrivere. Per questo posso rassicurare la signora Adalgisa: prima o poi spedirò "cartoline positive". Una cosa non le prometto: che scriverò rosa anche se vedrò nero. A chi ha negato problemi, nascosto indizi negativi e diffuso ad arte una falsa impressione di sicurezza spetta, primo fra tutti, la responsabilità del "disastro". Non il mio, beninteso: quello dei titoloni.

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