Ora che il sole splende e le strade non sono ingombre, risulta difficile pensare, o addirittura credere, a un’eventualità che, stando ai bollettini meteo, sembra ormai probabile: domenica andremo alle urne affrontando una tormenta di neve.
Le previsioni parlano chiaro: nelle nostre contrade la neve dovrebbe comparire giovedì e rimanere quanto basta a spolverare la Penisola almeno fino a domenica con il risultato, parafrasando Joyce, che si ammucchierà fitta sulle croci (celtiche) contorte, sui gazebo elettorali, sulle punte dei sondaggi e sui roveti degli spogli; il nostro voto si dissolverà lentamente, mentre ascolteremo la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa del loro ultimo appello, su tutti i vivi, su tutti i morti e perfino su Brunetta.
Ora io so bene che dire "tormenta di neve" significa esagerare parecchio. Mi rendo perfettamente conto, inoltre, che la neve non è più quella di una volta, che ci sono gli spazzaneve, il sale, le catene, gli pneumatici specifici e le pale in offerta speciale al supermercato. Vi propongo, tuttavia, un giochetto: facciamo caso che la "tormenta" in arrivo sia una vera e propria tormenta, come quelle delle fiabe, dei racconti romantici e dei film di un tempo. Ora che abbiamo immaginato una tormenta del genere, immaginiamo anche di doverla affrontare per garantire a Casini il suo posto fisso alla Camera, a Cicchitto il sudato vitalizio e a Corradino Mineo un vellutato trasferimento dalla Rai a Montecitorio. D’un tratto l’astensione assume l’aspetto di un caminetto in cui crepita un bel ciocco ardente e la tentazione di rinunciare al voto ci avvolge con il calore di una coperta di lana.
Sia chiaro: non voglio convincere nessuno a starsene a casa. Il mio, in altre parole, non è un appello per l’astensione. Dico solo che andando a votare con la neve alle caviglie saremo, tutto considerato, dei maledetti eroi. Se lo ricordino quando la neve, come fanno le promesse, si scioglierà al sole.
Le previsioni parlano chiaro: nelle nostre contrade la neve dovrebbe comparire giovedì e rimanere quanto basta a spolverare la Penisola almeno fino a domenica con il risultato, parafrasando Joyce, che si ammucchierà fitta sulle croci (celtiche) contorte, sui gazebo elettorali, sulle punte dei sondaggi e sui roveti degli spogli; il nostro voto si dissolverà lentamente, mentre ascolteremo la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa del loro ultimo appello, su tutti i vivi, su tutti i morti e perfino su Brunetta.
Ora io so bene che dire "tormenta di neve" significa esagerare parecchio. Mi rendo perfettamente conto, inoltre, che la neve non è più quella di una volta, che ci sono gli spazzaneve, il sale, le catene, gli pneumatici specifici e le pale in offerta speciale al supermercato. Vi propongo, tuttavia, un giochetto: facciamo caso che la "tormenta" in arrivo sia una vera e propria tormenta, come quelle delle fiabe, dei racconti romantici e dei film di un tempo. Ora che abbiamo immaginato una tormenta del genere, immaginiamo anche di doverla affrontare per garantire a Casini il suo posto fisso alla Camera, a Cicchitto il sudato vitalizio e a Corradino Mineo un vellutato trasferimento dalla Rai a Montecitorio. D’un tratto l’astensione assume l’aspetto di un caminetto in cui crepita un bel ciocco ardente e la tentazione di rinunciare al voto ci avvolge con il calore di una coperta di lana.
Sia chiaro: non voglio convincere nessuno a starsene a casa. Il mio, in altre parole, non è un appello per l’astensione. Dico solo che andando a votare con la neve alle caviglie saremo, tutto considerato, dei maledetti eroi. Se lo ricordino quando la neve, come fanno le promesse, si scioglierà al sole.
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