Attingiamo al gran serbatoio di quotidiana umanità che è l’agenzia Ansa:
«Un artigiano 70enne residente a Rubiera (Reggio Emilia) è risultato avere alle proprie dipendenze 23 collaboratrici familiari, due delle quali grazie all’attività fittizia prestata hanno percepito indennità dall’Inps, una l’indennità di maternità, l’altra gli assegni familiari. Sitratta di una truffa all’Inps secondo i carabinieri del Nucleo dell’Ispettorato del lavoro che hanno messo fine al giro di assunzioni “fantasma” identificando il responsabile della frode».
Della notizia colpisce, naturalmente, l’originalità dell’impostazione: avere a contratto 23 collaboratrici domestiche costituisce, oltre che una sfida al codice penale, anche un affronto alla logica. Personalmente, però, trovo più curioso ancora che il truffatore - presunto - abbia 70 anni.
Non si può generalizzare, questo si sa, ma ritengo che l’attività di truffatore non sia consona alla terza età. Una questione di stile, ovviamente, ma anche di impostazione fisica. Il truffatore lavora, sia pure malignamente, di cervello, ma dovrebbe disporre anche di buone gambe per garantirsi la fuga nel caso che le sue macchinazioni vengano scoperte. È ben vero che le possibilità di riuscita delle truffe aumentano quanto più insospettabile è il truffatore, ma 70 anni mi sembrano comunque un età eccessiva per questa professione, diciamo, sbarazzina.
Bisogna dire che il settore della criminalità non riconosce contributi e dunque, a 70 anni, al malvivente non resta che continuare a malvivere se vuole campare. Eppure, mi resta il dubbio: davvero una persona vuol concludere la sua parabola terrena in questo modo? Venir ricordato come quello che aveva 23 collaboratrici domestiche...
Ho scherzato, spero si sia capito, ma alla fine avanzo una riflessione seria: a una certa età si dovrebbe dare a se stessi una tregua dall’assurdo. Altrimenti gli unici che riusciremo a truffare saremo noi stessi.
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