Troppi puntini

Sono consapevole di scrivere qui, ogni giorno, nello stile polveroso di un notaio del Diciottesimo secolo. Non per questo respingo chi si esprime con un linguaggio, scritto o parlato, più moderno, perfino modernissimo, addirittura spregiudicato. Neppure mi irritano emoticon ed emoji: quei piccoli simboli grafici rispondono alla necessità di trasmettere informazioni emotive alla velocità - elevata - con cui oggi si vive. Nessuno ha più tempo di prendere carta e penna per concepire frasi che convoglino lo stesso messaggio racchiuso in un semplice :-) e, nessuno, d’altra parte, avrebbe tempo di leggerle. In un certo senso, dunque, emoticon ed emoji “servono” alla comunicazione: tanto basta a giustificare la loro esistenza e il loro uso. Semmai, potremmo criticarne la presenza in contesti sbagliati: i temi a scuola, per esempio, o anche i romanzi, i saggi e altri testi che esigono una lingua diversa.

Ciò detto, ci sono cose, nel campo della lingua scritta, che mi irritano sul serio. Per ammettendo un margine di tolleranza nell’uso della punteggiatura, trovo che a volte si esageri in disinvoltura. Particolarmente urticante, per me, è l’aumento arbitrario dei puntini di sospensione.

Come dice la Treccani, i puntini «devono essere sempre tre» e «nella maggior parte dei casi, si attaccano alla parola che li precede e sono seguiti da uno spazio». Regole troppo rigide, queste, per alcuni impetuosi comunicatori i quali non esitano a schierare puntini in numero di quattro, o anche sei e perfino dieci. La logica (?) dietro al proliferare dei puntini sta nel suggerire che più ce ne sono più la sospensione va intesa lunga. I “puntinatori liberi” (chi usa questo segno non lo fa mai con parsimonia, ma sforacchia la pagina come i gangster Anni ’20 le vittime con il Thompson) sono dunque compositori, non scrittori, e allungano e contraggono le pause come farebbero in uno spartito.

Peccato che il risultato sia sempre... stonato. Lontano, se permettete, dall’uso corretto fatto in quest’ultima frase, ovvero, come certifica sempre la Treccani, «per preparare chi legge a una battuta o a un gioco di parole».

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