Troppo tardi

Troppo tardi

Non so perché, non capisco quale circuito sensoriale non abbia funzionato, ma io il terremoto di mercoledì non l’ho sentito. E, se volete perdonare l’azzardo, è stato come se tutti fossero invitati a una festa tranne me: non il massimo per l’autostima. Siccome questo terremoto, forse in linea con il nuovo trend del Paese, è stato piuttosto "sobrio", ovvero è passato senza far danni seri, senza riuscire a rovesciare neppure un soprammobile, di esso oggi rimane soltanto il potere di far da collante, di fornire a tutti un argomento di chiacchiera e uno spunto di riflessione da condividere con il prossimo.

A tutti, appunto, tranne che a me. È stato come se avesse nevicato sui tetti dell’intera città ma non sul mio, come se la Nazionale avesse giocato un campionato mondiale a mia insaputa e come se la Rai avesse celebrato Sanremo senza che io potessi coglierne una singola nota melensa.

Non so come sia successo, ripeto, ma io alle 9,06 non ho né sussultato né ondulato. Niente: fermo come un giudice sobrio. E quindi indegno di appartenere al susseguente flusso dell’attività umana, modificato, se non deviato, da un sisma innocuo ma popolarissimo. Bastava averlo sentito solo un pochettino, bastava aver visto un lampadario oscillare, provato il brivido di un dondolio, lo smarrimento di una scossetta. Troppo tardi: il momento è perduto. E come per i programmi tv, non serve neppure contare sulle repliche. Non sono mai la stessa cosa.

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