Trota o non Trota

Trota o non Trota

Con la consueta foga oratoria (che ha lasciato sul campo, azzoppati, un battaglione di congiuntivi, svariati pronomi e un malcapitato avverbio), Antonio Di Pietro ha difeso in un videomessaggio la scelta di candidare il figlio Cristiano al consiglio regionale del Molise: «Non è il Trota di turno - ha precisato -. Sono dieci anni che attacca manifesti».

A parte il fatto che ci sono in giro attacchini prossimi alla pensione i quali, applicando la logica di Di Pietro, dovrebbero prontamente candidarsi al Quirinale, è evidente come le critiche abbiano toccato un punto dolente: nessuno vuol passare per il «papà che raccomanda» perché il nepotismo, per quanto largamente diffuso, ha ancora fama di pratica esecrabile.

Suppongo che, nel diffondere la notizia, in non poche redazioni sia sia dovuta nascondere in cantina una coda di paglia della lunghezza di parecchi metri: nel giornalismo, infatti, il nepotismo è ben conosciuto. Non si poteva tuttavia rinunciare all'occasione di far scopa, agitando un dito di riprovazione sotto il naso di due politici al prezzo di uno: Umberto Bossi, autore del Trota originale, e, appunto, Antonio Di Pietro, creatore del nuovo Trota, o meglio nel non-Trota come lo ha definito babbo suo.

In effetti, nonostante i giornalisti non siano immuni dallo stesso difetto, non è  ammissibile che ci sia gente, in politica, che fa carriera solo perché è figlio o figlia di qualcuno. Finirebbe per togliere spazio a chi, almeno, con il qualcuno ci è andato a letto.

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