Se qualcuno ha notizie di Donald Trump, non sia timido: ci faccia sapere. A noi tocca ammettere di aver perduto traccia del personaggio e questo nonostante, appena qualche settimana fa, sembrava impossibile occuparsi d’altro. Dall’ufficio ovale, il presidente degli Stati Uniti lanciava di continuo proclami tra lo storico e l’imbarazzante: su il muro con il Messico, giù il programma Obamacare, su con le accuse al suo predecessore, giù con i complimenti all’amico Putin. Poi, d’improvviso, ha smesso di dare notizie di sé.
A questo punto, occorre correggere il tiro: a non dare notizie di Trump non è stato Trump medesimo, ma i media, almeno i nostri media, distratti dalle convulsioni del Pd, dalle tensioni europee, dallo stadio di Roma e, su tutto, da questioni di rigore: non quello voluto dalla Ue ma quello concesso - giustamente o meno - dall’arbitro.
Tutto questo, se vogliamo, prova quanto sia facile uscire di scena perfino quando si è presidenti degli Stati Uniti e si porta piazzato in testa un roditore semiacquatico in via di estinzione.
È la stessa sensazione che deve aver provato Harrison Schmitt. Chi è costui, dite? Appunto: egli è l’ultimo uomo ad aver messo piede sulla Luna, ma non se lo ricorda più nessuno. Già nel 1972, quando andò lassù con l’Apollo 17, c’era ormai poco interesse per queste imprese e Schmitt dovette chiedersi che cosa avrebbe mai dovuto fare per diventare famoso. Per esempio, sarebbe stato meglio avesse fondato un gruppo pop in Svezia, magari chiamandolo Abba.
L’attenzione del mondo è dunque faccenda aleatoria e bizzarra. Non c’è dubbio che presto o tardi Trump riguadagnerà il centro della scena, magari minacciando un duello nucleare con la Corea del Nord. Non dovrebbe però illudersi che tanto possa bastare: magari arriva il congresso del Mdp e nell’ufficio ovale tornano a calare le ombre.
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