Non si scopre oggi come la Rete risulti infestata da un certo tipo sgradevole di “navigatori”: i bulli. Il bullismo digitale, così raccontano articoli e studi provenienti dall'Italia e da tutto il mondo, sta diventando un fenomeno preoccupante. Ebbene, ora si teme che presto un altro tipo di scorrerie digitali possano prendere piede: quelle perpetrate dai morti.
Non proprio dai morti, in realtà, perché costoro hanno altro di cui preoccuparsi o di cui non preoccuparsi. Il problema è che i morti, un tempo, sono stati vivi e da vivi hanno potuto arrangiare le cose in modo da essere molesti anche da morti.
Alcune organizzazioni online come “DeadSoci.al” e “if i die” si occupano di garantire un servizio per cui gli utenti, una volta trapassati, possano continuare a pubblicare messaggi e commenti sui loro profili Twitter e Facebook. Come? Non dalle tombe, si capisce, luoghi in cui la connessione wi-fi è molto scadente, ma immagazzinandoli in anticipo e rilasciandoli a tempo debito, ovvero a funerale avvenuto. Si cita a questo proposito il caso del comico Bob Monkhouse, portato via da un cancro alla prostata, il quale ha lasciato in Rete l'eredità postuma di una serie di video in cui ironizza sulla sua dipartita e sulla malattia che l'ha agevolata.
Per quanto trovi divertente - e non del tutto inedita - la volontà di Monkhouse di riservarsi l'ultimi sberleffi sulla vita (e sulla morte), l'idea che i nostri profili Twitter e Facebook rimangano “vivi” anche dopo la Grande Partenza mi mette un tantino a disagio. E' come se fosse in corso un massiccio trasloco delle nostre vite dal reale al digitale: passiamo armi e bagagli nella Rete per trovare rifugio e, adesso, anche una forma virtuale di immortalità. Forse è per questa ragione che le cose vanno tanto male da questa parte del monitor, quella fatta di molecole biologiche: ormai abbiamo rinunciato a combattere, abbiamo perduto interesse per un mondo concreto ma finito. Come chi deve cambiare casa, e non si preoccupa più di riparare le tubature.
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