“Il turista è un essere che non rimane ferito da ciò che vede. Una donna che passa basta a sconvolgere l'ipotesi della mia vita, prospettandomene un'altra. Una casa che avrei voluto abitare, un paese dove avrei voluto nascere e uno dove vorrei morire”.
Avevo speso, alla partenza, una citazione un po' pretenziosa ricavata dal “Diario degli errori” di Ennio Flaiano. Oggi, al momento del ritorno, la ritrovo e la ripenso. Sono stato un turista? Ovvero, secondo la definizione di Flaiano, un passante invulnerabile a ciò che vede, che non se ne lascia possedere e ne trae solo un pizzico di gratificazione?
Il turista, in fondo, ha origini lontane: rimanda a quei viaggiatori europei che, davanti alle Piramidi o alla Grande Muraglia, tossicchiavano già pensando a dove ritirarsi per “una buona tazza di tè”. Il mondo, per il turista, diventa una gita fuori porta: la sera dell'escursione torna comunque in se stesso, ovvero nelle proprie abitudini, inattaccabile e inattaccato da quanto ha visto e sentito, immune da ogni possibile dubbio che le vite degli altri possano aver insinuato in lui.
Ma quali sono questi dubbi - e dunque queste possibilità - e come vengono stimolate? Secondo Flaiano, basta “una donna che passa”. Ovvero, più in generale, basta uno stimolo sensoriale estraneo, che incuriosisca, sorprenda, esalti o spaventi, per scatenare la nostra immaginazione. La donna svolta l'angolo della strada e se ne va: ci rimane la fantasia di una possibile vita alternativa alla quale ella avrebbe potuto condurci. In questo senso, viaggiare diventa il prodotto di una formula semplice ma stimolante: stimolo più fantasia.
Di nuovo, tra i vapori della malinconia e i pesi della stanchezza ripenso al mio viaggio, agli stimoli e alle fantasie che mi ha regalato. Faccio due conti e posso affermare con serenità che, sebbene non sia chiaro quale tipo di viaggiatore rappresento, certamente non sono un turista.
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