A causa di una delle frequenti ma sempre impreviste fioriture di vezzi su Internet, da qualche giorno molti amici che frequento nelle piazze virtuali amano rappresentare se stessi sotto forma di fumetti. So già come fanno - usano una faccenda chiamata Bitstrips -, mi sembra interessante cercare di capire perché lo fanno.
Sicuramente perché è divertente, questa almeno è una delle ragioni. Se ho capito bene, ma ne dubito, Bitstrips consente di creare il proprio “avatar”, ovvero una versione grafica di se stessi, che è poi possibile inserire in varie situazioni come nel riquadro di un fumetto. Mario ronfa sul divano, Mario gioca con il gatto, Mario trasferisce alcuni fondi in un conto alle Cayman (quest'ultima circostanza è di pura fantasia): tali situazioni, espresse in una didascalia, sono illustrate in un disegno in modo che gli amici vengano informati delle nostre superflue attività, oltre che con la consueta petulanza, anche grazie all'ineludibile evidenza delle immagini.
Mi piace pensare che sotto l'accattivante ma superficiale fascino della novità e oltre l'inevitabile reazione a catena che porta al dilagare in Rete di queste applicazioni, ci sia, almeno nei soggetti della mia generazione, la tentazione di realizzare un antico desiderio: appartenere al mondo dei fumetti. Credo che ogni ragazzo lettore di albi non veda nel modo raffigurato tramite disegno la schematizzazione di una realtà altrimenti concreta, ovvero simile alla nostra: piuttosto, il mondo dei fumetti è uguale a come è rappresentato, con le morbidezze e la bonomia, per esempio, delle storie Disney e le asprezze in inchiostro di china di quelle d'avventura. Mondi nei quali, per qualche ragione, ci è sempre sembrato interessante vivere, come se il disegno potesse privarci di certe pesantezze del reale e donarci, con pochi tratti, caratteristiche nobili, sincere, amabili e durevoli. Scommetto che, già molto prima di Bitstrips, molti di noi hanno trascorso parecchio tempo immaginandosi a fumetti.
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