Tutti al fronte

Lo so: sono in ritardo e sono anche inopportuno. In ritardo perché oggi è il 12 settembre, e non l'11; inopportuno perché in questi giorni avete sentito commemorare l'anniversario fino alla nausea e, giustamente, vorreste passare ad altro, per esempio alla manovra finanziaria.

Il fatto è che sono in ritardo perché, naturalmente, non avevo nulla di originale da dire sull'argomento. Ieri però qualcosa di originale l'ho trovato e poco importa che non l'abbia detto io. Lo ha detto Sadia Latifi, giovane scrittrice-analista americana, la quale in uno splendido articolo ha raccontato come la sua famiglia, di origine pachistana e di religione musulmana, sia profondamente cambiata dopo l'11 settembre.

Ben integrata nella società americana, la famiglia di Sadia si è progressivamente spostata verso l'integralismo islamico in risposta all'improvvisa attenzione concentratasi sulle comunità musulmane negli Stati Uniti dopo gli attacchi: in poche settimane, un lento processo di assimilazione culturale è andato perduto. Dalla musica rock al burqa il passaggio è stato repentino. Non solo: anche le tradizioni nazionali – della nazione di origine, cioè – non legate all'Islam si sono disperse, «in favore di una più universale osservanza religiosa». E sembra proprio questo il peggior delitto dell'11 settembre: l'aver costretto - a Est come a Ovest – interi popoli a uscire dalla loro significativa diversità per unirsi a un generico, artificiale, globalizzato, ignorante fronte dell'odio.

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