Mentre noi siamo impegnati a farci strada spalando tra tonnellate di quotidiana stupidità, ci sono scienziati che, nell’atmosfera controllata dei laboratori, lavorano a un tipo rarefatto di intelligenza: quella artificiale. I risultati sono sorprendenti, se si assume che il traguardo di tali ricercatori è riprodurre in una macchina la specifica intelligenza dell’uomo.
Diamo dunque per assodato che con “intelligenza artificiale” si deve intendere “intelligenza umana trasferita a un computer”. In questo campo, il risultato più recente è stato ottenuto all’Università per la Scienza e la Tecnologia di Hong Kong, dove un team guidato dalla professoressa Pascale Fung, ha messo a punto Zara, una signorina virtuale capace di “leggere” le emozioni umane e agire di conseguenza.
In pratica, posta davanti a un interlocutore umano, Zara – che al momento ha le fattezze di un “avatar” elettronico – è in grado innanzitutto di registrarne l’etnia (e quindi di rivolgersi a lui o a lei secondo la lingua più appropriata tra quelle di sua conoscenza, vale a dire l’inglese o il mandarino) e quindi, attraverso alcune domande (e l’interpretazione delle risposte) entrare in empatia. Tra le domande poste da Zara pare ci sia “Qual è il tuo primo ricordo?” e “Parlami di tua madre”, un’impostazione che, a occhio, l’avvicinerebbe a uno psicanalista classico, di scuola freudiana, piuttosto che a un robot. Tant’è: l’obiettivo è appunto umanizzare la macchina.
Se un’osservazione anche superficiale è lecita, il difetto che ancora non permette a Zara di confondersi perfettamente con noi gente in carne e ossa non è tanto la mancanza di empatia, quanto un eccesso della medesima. L’interesse per i nostri ricordi più lontani? La domanda carica di promesse liberatorie sulla figura materna? Zara si provi a dire con la giusta intonazione “Guardi che il parcheggio l’ho visto prima io!” e poi, se vuole, incominciamo sul serio a parlare di umanità.
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