Un Natale di mezza età

Un Natale di mezza età

Sto vivendo un Natale di mezza età. Non so bene che cosa significhi, ma è così: il mio è un Natale di mezza età. Ovvero, se proprio devo essere sincero, un Natale insapore. Troppo: diciamo piuttosto di sapore incerto. Non può che essere così: il Natale è territorio privilegiato di anziani e bambini. I secondi, naturalmente, ci sguazzano e i primi ne approfittano per assecondarne l’entusiasmo. In cambio ricevono un sovrappiù di affetto, sorrisi e complicità.
Nel frattempo, noi di mezza età restiamo lì, un po’ assurdi, un po’ smarriti. Non aiuta l’aver indossato il pullover ricevuto in regalo: quella scena di caccia in Alta Baviera, stesa sul nostro addome, attira sguardi un poco pietosi, che di solito si rivolgono ai ragni schiacciati con una pantofola.
Per fortuna abbiamo qualche compito pratico, questo sì: aprire la porta, rispondere al citofono, grattugiare il parmigiano («Basta così, ma quanto ne fai? Una montagna?»), stappare il vino, evitare aneddoti già raccontati il Natale scorso. Soprattutto, cercare di non finire «tra i piedi».
Vedete, insomma, che tipo di Natale è il Natale di mezza età. Non che sia ricchissimo di soddisfazioni, ma almeno non manca di calore: abbiamo infatti anche il compito di badare alla stufa o al caminetto.
Mi piacerebbe molto approfondire questo argomento e comporre un completo ritratto del Natale di mezza età. Ma è difficile, occorrerebbe grande sensibilità e sottile intelligenza. E io devo portar fuori la spazzatura.

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