Non c’è chi non sia rimasto impressionato - almeno un poco - dalla sorte kafkiana dell’orsa Daniza, vittima, questo mi pare chiaro, di azioni rispondenti a una logica - o presunta tale - tutta umana e quindi a lei estranea. C’è chi si è indignato un po’ c’è chi si è indignato tanto, c’è chi con l’indignazione è andato fuori giri. Succede in tutte le circostanze polemiche: la politica, l’immigrazione e il calcio tanto per dirne alcune facili facili. Naturalmente, il rapporto dell’uomo moderno con gli animali è ambivalente: da un lato il pianeta è cosparso di mattatoi in cui vengono massacrate ogni giorno milioni di creature nate per essere uccise; dall’altro, tanta gente ha maturato una onorevole sensibilità nei confronti della sorte di alcuni animali che, senza colpe da parte di nessuno, finisce per essere selettiva.
Se guardiamo la realtà fino in fondo, dobbiamo ammettere che il nostro atteggiamento nei confronti degli animali è condizionato da infiniti fattori, alcuni dei quali insospettabili e perfino risibili. Uno di questi, emerso in un recente studio, ha rivelato scientificamente come l’apprezzamento della gente nei confronti delle razze dei cani sia pesantemente influenzato dal cinema e dalla tv: la comparsa di “Lassie” sugli schermi coincise negli anni Cinquanta con un picco nell’allevamento dei collie; più tardi, i dalmata beneficiarono del grande successo arriso a “La carica dei 101”.
Si può dire che la simpatia per gli animali passa in buona misura dalla loro umanizzazione: proprio quella che manca ai polli eviscerati e spennati che, avvolti nel cellophane, troviamo sui banchi del supermercato. Nessuno di loro si prevede diventi protagonista di un cartoon Disney. L’attribuzione agli animali di sentimenti umani e caratteristiche antropomorfiche è ben intenzionata ma, oggi, culturalmente insufficiente. Dovremmo riuscire finalmente ad amare gli animali per quello che sono: creature diverse con un problema in comune. L’uomo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA