Certe volte non resta che darla vinta all'influenza. Almeno per un po'. L'istinto è di ribellarsi a una malattia tanto triviale ma, riconosciamolo, qualche linea di temperatura e un naso otturato bastano a far deragliare il più volitivo tra noi. È il mio caso, oggi: sono pressoché azzerato dai bacilli. Visto che poi tanto volitivo non mi pregio di essere, il risultato è la completa paralisi mentale. Per fortuna, contro l'influenza conosco una medicina potentissima: la rilettura di pagine umoristiche. Come questa, da "Vita col padre" di Clarence Day, che mi sembra perfettamente appropriata:
"Quando papà aveva un raffreddore, il suo metodo per liberarsene era di cacciarlo a viva forza, soffiandosi il naso con grande energia, o meglio ancora starnutendo. A mamma non piaceva sentire quei fragorosi starnuti. Diceva, che anche a stargli a distanza, le pareva che le starnutisse accanto, ed era sicura che il raffreddore era contagioso. Papà le rispondeva che aveva delle idee assurde e che i suoi starnuti erano salubri. E dopo un po' faceva sentire una nuova strombettata energica e trionfale.
"A parte le rare volte in cui era raffreddato, papà soffriva soltanto di emicranie. Diceva tuttavia che le emicranie derivano dal mangiare troppo, e quindi, chi sapesse astenersi in tempo dal cibo, poteva sempre liberarsene. Ci voleva un po' di tempo per far morire di fame un'emicrania. Qualche volta il processo richiedeva parecchie ore; ma appena era sparita, papà poteva rimettersi a mangiare e a fumare con gusto il suo sigaro.
"Quando una di queste emicranie si faceva sentire, papà si metteva disteso, chiudeva gli occhi e cominciava a urlare. Dal volume dei suoni che emetteva si poteva giudicare la gravità del suo male. Sembrava che il suo scopo fosse quello di fare capire all'emicrania che egli era altrettanto forte di lei, e anzi più forte. Quando papà andava a letto con un'emicrania, formavano una coppia alquanto rumorosa".
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