Una ragione non c’è

Anche a Expo chiuso non è che un poveraccio possa farsi un’idea precisa di come effettivamente è andata la faccenda. Tanto per incominciare siamo circondati da gente che lo sa anche troppo bene: c’è l’ensemble trionfalistico che vede nella rassegna l’epicentro di un nuovo Rinascimento italiano e c’è il coro compatto degli oppositori, ai quali non viene neppure il dubbio che almeno qualcosa, magari solo un dettaglio, possa essere andato per il verso giusto: l’hanno organizzata, voluta e finanziata “lorsignori” e quindi dev’essere stata cosa losca.

Non mi resta che un modesto empirismo per darvi un’impressione personale di Expo 2015. Nell’aggirarmi tra i padiglioni ho formato due convinzioni o, se volete, constatazioni. La prima è che l’atmosfera generale era interessante e stimolante, questo al di là e al di sopra di prezzi troppo alti e di una certa pretenziosità improvvisata. La seconda è che i padiglioni – molti dei quali ingegnosi e perfino belli nella loro ostentata bruttezza – non contenevano quasi nulla che non sarebbe stato possibile mettere online per un pubblico molto più vasto. Video, effetti grafici, illustrazioni, animazioni in 3D: Expo ha sfruttato il digitale e il virtuale ovvero cose, entrambe, perfettamente trasferibili in Rete. In teoria, sarebbe stato possibile realizzare un Expo diffuso: un megasito monotematico (“Nutrire il pianeta”) nel quale ogni Paese avrebbe potuto realizzare un sottosito dedicato e aggregato a quello principale. Quale sarebbe stata la differenza?

Da un punto di vista pratico, nessuna. Se invece consideriamo il bisogno delle gente di “esserci”, la necessità di individuare – perfino costruendolo ad arte – un luogo da fotografare, condividere, sperimentare, un luogo munito per sei mesi di una “magia” irrazionale eppure potentissima, allora la differenza è enorme. Se pensate che tutto ciò non sia ragione sufficiente per mettere in piedi un carrozzone tanto costoso, ricredetevi: non c’è iniziativa migliore, al mondo, che dare alla gente una ragione per unirsi. Anche se una ragione non c’è.

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