Uomini e supertopi

Di una cosa l’homo sapiens va particolarmente fiero: della sua intelligenza. Tanto è vero che il concetto l’ha ficcato perfino nel nome scientifico: homo “sapiens”, appunto, e non homo che guarda la televisione o homo che gioca al gratta e vinci, benché queste due ultime attività gli appartengano almeno quanto la prima.

Non del tutto egoista, l’uomo apprezza l’intelligenza anche quando si manifesta in altre creature, per così dire, inferiori: gli animali e, qualche volta, i concorrenti de “L’Eredità”. Per essere precisi, negli animali l’uomo apprezza un tipo di intelligenza soltanto: quella che è una sbiadita copia della sua. Egli infatti gongola quando il cane siede a comando o il pappagallo riesce a ripetere le parole “congiuntura sfavorevole”. Per essere gradita, insomma, l’intelligenza animale deve assomigliare a quella umana e, soprattutto, rappresentarla in scala minore.

Non è previsto - né ammesso - che l’intelletto degli animali possa rivelarsi, in qualche caso, superiore. Eppure accade. Se ne sono accorti, per esempio, i ricercatori di Ku Leven, la più grande università belga, quando sono stati battuti da una squadra di topi proveniente, immagino, dal medesimo ateneo.

La sfida che ha visto prevalere i roditori era congegnata sul riconoscimento di una serie di forme scure o luminose che apparivano su uno schermo. Un tipo di queste forme doveva essere individuato come “obiettivo” e un altro come “distrazione”. Ebbene, come detto, in questo compito i topi hanno fatto meglio dell’uomo.

A tradire l’“homo così-così sapiens” sarebbe stato lo sforzo di trovare, nell’apparire delle forme, una logica, una continuità: in altre parole, una regola. I topi, agendo invece di puro istinto, senza condizionamenti e vincoli intellettuali, si sono adattati molto meglio alla sfida, vincendola. L’unica differenza rispetto agli uomini è che, in seguito, non ci hanno ricavato sopra alcuna verbosa relazione scientifica. Forse lo faranno: quando avranno smesso di ridere.

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