Uomini e vulcani

Uomini e vulcani

Ho seguito con attenzione l’attività del vulcano islandese Grimsvotn (da non confondersi con l’Eyjafjallajokul, altro vulcano islandese attivo l’anno scorso e con Girbydorkiansuhllyk, un portantino strabico di Reykjavik che mi sono inventato appena adesso): non tanto perché abbia in previsione, a breve, di prendere un aereo (a dire il vero ce l’ho, ma vorrei preoccuparmi solo a tempo debito), quanto perché temevo di udire, a destra o a manca, l’inevitabile voce di chi saluta questi eventi  come «un ammonimento di quanto l’uomo è piccolo e impotente di fronte alla grandezza della Natura».
Come se non bastassero terremoti, tifosi, malattie incurabili e, in genere, la nostra misera condizione di mortali a ricordarci, ogni ora, quanto siamo fragili, c’è chi pesca a piene mani nelle intemperanze geologiche dell’Islanda per dimostrare quanto Madre Natura se ne infischi altamente degli orari di volo, dei biglietti di economy e di business class e di come perfino quelli che viaggiano in Prima, con tutto quello che pagano, siano soggetti alle variazioni dei venti e ai problemi indotti dalle ceneri nelle avioturbine.
Ma, forse, occorre ammettere che, alla fine dei conti, con la caducità e con i limiti umani qualcosa i vulcani islandesi hanno pur sempre a che vedere: quanto può fingere di essere superiore a ogni cosa, infatti, un essere al quale il possente e mutevole spettacolo della lava e del fuoco induce, ogni volta, lo stesso pensiero?

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