Un comunicato stampa informa che abbiamo un problema di fertilità delle vacche. Con «abbiamo» intendo proprio «abbiamo», ovvero «tutti noi abbiamo» perché sarebbe facile far ricadere il problema solo sugli allevatori o, ancora peggio, sulle vacche stesse.
Come è facile immaginare, il problema non sta in un eccesso di fertilità ma in un difetto. Gli allevatori non la prendono con filosofia: «Ci troviamo di fronte a una situazione molto grave» sostengono, «perché il milione e centomila bovine controllate dall’Associazione italiana allevatori (Aia) ha evidenziato un periodo medio di lattazione pari a 198 giorni, quando il valore ideale dovrebbe corrispondere a circa 156. In pratica, entro cento giorni dal parto la bovina dovrebbe rimanere gravida; in realtà, l’intervallo è oggi di circa 180 giorni».
Nella mia ignoranza, incomincio a sospettare che la pressione psicologica esercitata sulle bovine da questo tipo di contabilità non le aiuta, come dice il comunicato con una certa dose di crudezza, «a rimanere gravide». Ma forse sbaglio, perché è proprio questo l’approccio scelto dagli allevatori i quali, dopo un’analisi approfondita, giungono alla conclusione che «la gestione delle vacche va adeguata all’elevato livello genetico raggiunto» e che, in questo il «management è fondamentale». Sarà. Io, con umiltà, posso solo annotare l’emergere di un moderno paradosso, peraltro niente affatto ristretto al settore dell’allevamento, ovvero la pretesa di garantirci un ambiente fertile nel modo più sterile possibile.
Come è facile immaginare, il problema non sta in un eccesso di fertilità ma in un difetto. Gli allevatori non la prendono con filosofia: «Ci troviamo di fronte a una situazione molto grave» sostengono, «perché il milione e centomila bovine controllate dall’Associazione italiana allevatori (Aia) ha evidenziato un periodo medio di lattazione pari a 198 giorni, quando il valore ideale dovrebbe corrispondere a circa 156. In pratica, entro cento giorni dal parto la bovina dovrebbe rimanere gravida; in realtà, l’intervallo è oggi di circa 180 giorni».
Nella mia ignoranza, incomincio a sospettare che la pressione psicologica esercitata sulle bovine da questo tipo di contabilità non le aiuta, come dice il comunicato con una certa dose di crudezza, «a rimanere gravide». Ma forse sbaglio, perché è proprio questo l’approccio scelto dagli allevatori i quali, dopo un’analisi approfondita, giungono alla conclusione che «la gestione delle vacche va adeguata all’elevato livello genetico raggiunto» e che, in questo il «management è fondamentale». Sarà. Io, con umiltà, posso solo annotare l’emergere di un moderno paradosso, peraltro niente affatto ristretto al settore dell’allevamento, ovvero la pretesa di garantirci un ambiente fertile nel modo più sterile possibile.
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