Vado su a dirglielo

Vado su a dirglielo

Ho provato, ieri, un moto di irresistibile simpatia nei confronti di Pier Luigi Bersani, segretario del Partito democratico. Vorrei precisare: non l’ho provato perché Bersani è segretario del Pd. Arrivo a dire che la politica non c’entra per nulla. La simpatia è scaturita non da qualcosa che Bersani ha fatto; piuttosto, da qualcosa che ha detto e, anche qui, più che altro per come lo ha detto.
Il segretario, ieri, si è lasciato cogliere da un improvviso attacco di buonsenso. Una crisi inconsulta che lo ha spinto a imboccare il portone di palazzo Chigi mentre era in corso il consiglio dei ministri: gli sembrava il momento migliore per far loro presente la sua posizione sulla faccenda della raccolta dei rifiuti a Napoli. A suo avviso, il governo stava per fare un errore e lui, invece di lasciarglielo fare e di rinfacciarglielo poi, oppure di criticarlo dalla tribuna di un comizio o, ancora, in una conferenza stampa, ha infilato lo scalone del Palazzo ed è andato a spiegarglielo di persona. Un fatto insolito, se non proprio straordinario. A sorprendermi, tuttavia, è stato soprattutto il modo in cui ha spiegato il gesto ai cronisti: «Sono andato su a dirglielo», ha riferito, buttando un’occhiata alle spalle a indicare l’austero portone dell’esecutivo. Già: è «andato su a dirglielo» con lo spirito di chi vede qualcuno piantare un chiodo con il cacciavite: sbaglia ed è senso comune dirglielo, anche se non lo si conosce, anche se è un vicino molesto e ci sta un po’ sulle balle. «Si va su a dirglielo»: sennò, che mondo è?

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