Dite quel che volete di Internet, usatelo e disprezzatelo, temetelo e adoratelo. Non importa, basta che a fine giornata abbiate la compiacenza di riconoscere che è un grande produttore di occasioni. Senza la Rete - e senza gli indolenti minuti che dedico a bighellonarvi - non sarei mai incappato in una serie di fotografie intitolata "Paris in colour 1909-1930".
La raccolta offre proprio ciò che il titolo suggerisce: una galleria di immagini a colori scattate a Parigi in un’epoca in cui il colore, nella fotografia, in pratica non esisteva. Esistevano però alcune tecniche sperimentali grazie alle quali venne documentata in vivide tinte la vita parigina di anni che, per tutti noi, per la nostra immaginazione cioè, sono avvolti nel rigoroso sfumato del bianco e nero.
La scoperta è stupefacente: i colori erano uguali a quelli di oggi. I rossi erano rossi, i blu erano blu e, soprattutto, risultano coincidenti le sfumature intermedie: la velatura azzurrina degli intonaci, il verde muffa che percorre il selciato, i riflessi indaco delle finestre. Stupisce ritrovare quei colori proprio perché sono in contrasto con la catalogazione cromatica con cui la mente umana si preoccupa di riordinare le epoche passate.
Andando a ritroso, dalla fine della Seconda guerra mondiale alla coda del XIX secolo troviamo la lunga parentesi del bianco e nero: scorrono dunque i classici di Hollywood, il neorealismo, le foto di Cartier-Bresson, le composizioni Man Ray. I colori si riaccendono con l’Impressionismo, ma sono i colori della pittura: ovvero riprodotti, impastati, creati, utilizzati a guisa o esaltazione del vero. Dominano nei secoli, fino a stingersi nel bianco accecante dei marmi con il quale, nella nostra semplice classificazione, inondiamo l’età classica: Roma e la Grecia.
Tutto approssimativo, tutto sbagliato, ma anche tutto inevitabile. Proprio vero: l’uomo ha formato se stesso, ha costruito cioè il suo pensiero e la sua sensibilità, anche attraverso i limiti imposti dai tempi al suo sforzo di rappresentarsi.
La raccolta offre proprio ciò che il titolo suggerisce: una galleria di immagini a colori scattate a Parigi in un’epoca in cui il colore, nella fotografia, in pratica non esisteva. Esistevano però alcune tecniche sperimentali grazie alle quali venne documentata in vivide tinte la vita parigina di anni che, per tutti noi, per la nostra immaginazione cioè, sono avvolti nel rigoroso sfumato del bianco e nero.
La scoperta è stupefacente: i colori erano uguali a quelli di oggi. I rossi erano rossi, i blu erano blu e, soprattutto, risultano coincidenti le sfumature intermedie: la velatura azzurrina degli intonaci, il verde muffa che percorre il selciato, i riflessi indaco delle finestre. Stupisce ritrovare quei colori proprio perché sono in contrasto con la catalogazione cromatica con cui la mente umana si preoccupa di riordinare le epoche passate.
Andando a ritroso, dalla fine della Seconda guerra mondiale alla coda del XIX secolo troviamo la lunga parentesi del bianco e nero: scorrono dunque i classici di Hollywood, il neorealismo, le foto di Cartier-Bresson, le composizioni Man Ray. I colori si riaccendono con l’Impressionismo, ma sono i colori della pittura: ovvero riprodotti, impastati, creati, utilizzati a guisa o esaltazione del vero. Dominano nei secoli, fino a stingersi nel bianco accecante dei marmi con il quale, nella nostra semplice classificazione, inondiamo l’età classica: Roma e la Grecia.
Tutto approssimativo, tutto sbagliato, ma anche tutto inevitabile. Proprio vero: l’uomo ha formato se stesso, ha costruito cioè il suo pensiero e la sua sensibilità, anche attraverso i limiti imposti dai tempi al suo sforzo di rappresentarsi.
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