"Buongiorno, signora Malinpeggio".
"Buongiorno a lei".
"Caldo, eh?"
"Come faremmo senza le sue penetranti osservazioni?"
"Di che cosa vuole parlare? Degli umoristi di Charlie Hebdo?"
"Come dice?"
"Ma sì. Quelli della rivista satirica francese..."
"Pensavo fossero morti."
"Ma no! Non ha sentito? Hanno fatto le vignette sul terremoto..."
"È proprio quando ho visto le vignette sul terremoto che ho pensato fossero morti".
"Caspita! È cattiva, oggi. Come mai, le è venuta a mancare la fiducia nel genere umano?"
"Quando mai le ho dato l'impressione di avere fiducia nel genere umano?"
"Lo so, lei si fa vanto di essere pessimista e cinica. Però guardi che tutti le riconoscono una grande umanità. Oggi invece sembra essersi rintanata nel suo guscio. Non è la solita signora Malinpeggio, grintosa ma sensibile, perentoria ma benigna".
"Cosa vuole che le dica? È la vita di noi pessimisti. Amiamo essere in anticipo sull'inevitabile negatività, desideriamo prevederla, suggerirla. Vaticinarla, se preferisce".
"È invece ora che succede? Non riuscite più a vaccinare la negatività?"
"Non come un tempo. Mi pare che ci sia una voluttà nel cercarla, nel diffonderla e perfino nel compiacersi di averla diffusa (senza contare che molti non si fanno scrupoli a inventarla di sana pianta) più veloce di qualsiasi ragionamento allarmante, di qualunque previsione fosca. Non c'è verso di star dietro a questo pessimismo da dilettanti: è un catastrofismo ebete che non conosce tempi o pause di riflessione, e non ammette tregua. Come può macerare bene un presagio di sventura se tutti subito si avventano sul fantasma di un'altra calamità, si distraggono al semplice sospetto di una nuova disgrazia?"
"Mi dispiace di sentila così abbattuta, signora. Ma abbia fiducia: sono certo che il vecchio, caro pessimismo tornerà presto di moda..."
"Speriamo. Cosa vuole: oggi per essere pessimisti ci vuole un gran ottimismo."
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