C’è davvero qualcosa di affascinante nella signora Malinpeggio. Il suo atteggiamento è di frequente aggressivo, anche se non prevede nulla che una tigre del Bengala avrebbe timore di affrontare, e tuttavia viene spontaneo parlare con lei, confidarsi, chiederle consiglio.
È con la piena consapevolezza di questa duplicità intrinseca della signora che mi avvicino alla sua panchina. E infatti se l’intenzione era semplicemente quella di salutarla, subito sorge in me, spontaneo, un argomento di conversazione.
«Mi perdoni, signora. Vorrei affrontare con lei una certa questione».
«Vada avanti».
«Mi rivolgo a lei come persona, diciamo, ecco, non giovanissima».
«Vecchia, vuol dire».
«Non mi permetterei mai».
«Ho capito. Allora lei parla per negazioni. Un curioso sistema di comunicazione».
«Sarebbe a dire?»
«Sarebbe a dire che per lei questa panchina potrebbe essere, faccio per dire, una non poltrona, oppure un non divano».
« Non arriverei a questo, almeno non con la panchina».
«Con me sì, invece. Mi chiama non giovane perché pensa che io non possa accettare il fatto, oggettivo, che sono vecchia».
«Mi sembrava poco gentile».
«La ringrazio della sua gentilezza. Peraltro la trovo straordinariamente fuori luogo. Non c’è nulla di male a essere vecchi».
«Lo so. La mia domanda era un’altra: come si convive con la vecchiaia?»
«Non saprei: non la riconosco come qualcosa con cui convivere. Vecchia sono io, e io sono io».
«Che cosa significa?»
«Che chi è intelligente da giovane si comporta in modo intelligente anche da vecchio e chi da giovane è...»
«Scemo?»
«Direi che “non furbo” faccia più al caso suo».
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