Ieri, una notizia sugli effetti collaterali dell'uso prolungato degli smartphone e su quanto esso possa condurre alla depressione, era letteralmente circondata di altre notizie su nuove app, sul servizio di streaming musicale lanciato da Apple, su come far durare a lungo la batteria dell'apparecchio portatile e sui giochi più popolari da scaricare in Rete. Il tutto, in un comodo formato web pensato per i dispositivi mobili.
Incomincio a pensare che i più, me compreso per carità, si stiano adattando, o rassegnando, a un mondo concepito per finestre isolate, aree di pensiero (o di svago, o di informazione, o di studio) ben distinte l'una dall'altra, separate e impermeabili, e che siano (siamo) ormai incapaci di cogliere le connessioni, gli evidenti rapporti di causa-effetto, i paradossi, le ironie e i riflessi comici involontari che, visto dall'alto, questo puzzle umano, metà reale e metà virtuale, rimanda a nostra insaputa. Ogni articolo sul web, ogni blog, ogni post su Facebook, ogni tweet, ogni scarabocchio di posta elettronica, è un messaggio in bottiglia sigillata. Non importa se è immerso nel mare del tutto, se da esso proviene e se a esso va: rimane perfettamente asciutto, non si bagna né si mescola, non si confonde e non partecipa. Tutti noi, a cominciare dal sottoscritto che ogni giorno riempie di parole il suo bravo angolino, siamo impegnati in un grande interscambio di foglietti elettronici, immagini digitali, simboli virtuali: una minutaglia alla quale dedichiamo un'attenzione ossessiva, spesso frenetica e sempre particolare. Mai il tempo di alzare lo sguardo per cogliere l'insieme, il tratto generale della comunità, il suo umore diffuso, la sua sofferenza sotterranea.
Tutto ciò, ironia sublime, fingiamo che si chiami "condividere". Non è vero: questi brani di noi stessi, questi piccoli rappresentanti dell'io, vengono mandati in giro per il mondo non per confondersi, non per partecipare, annullarsi o abbracciare, ma per rimanere in eterno immutati, come bandierine vanitose conficcate su vette modeste perfino per la nostra immaturità.
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