Sarà anche vero, come si mormora a volume altissimo, che l’indagine sulla Fifa altro non è che un siluro sparato dagli Stati Uniti a fini tutt’altro che sportivi. Sarà anche vero, come si sussurra a squarciagola, che l’America è arrabbiata con la Fifa per l’assegnazione dei mondiali 2018 alla Russia e quelli del 2022 al Qatar, Paesi che con gli Usa hanno rapporti di aperta ostilità o di ambigua e diffidente alleanza. Sarà anche vero, come si bisbiglia a pieni polmoni, che le ragioni degli americani sono poco pure e pochissimo disinteressate. Sta di fatto che le ragioni ci sono.
Il Washington Post è per esempio uscito con un articolo dal sobrio titolo “Il costo umano della corruzione alla Fifa”. Costo umano che, secondo il quotidiano statunitense, si concretizza nelle pessime condizioni di lavoro nei cantieri del Qatar in generale e in quelli del mondiale in particolare.
Un’infografica raggelante confronta i dati sui morti nei siti per gli stadi delle Olimpiadi di Londra, Vancouver, Sochi e Pechino e per i mondiali di calcio di Sud Africa e Brasile con quelli dei lavoratori immigrati vittime del lavoro dal 2010 a oggi in Qatar: il rapporto è spaventosamente sbilanciato. Come ammette lo stesso giornale, il paragone non è propriamente corretto (si confrontano i morti nei cantieri specifici per lo sport con quelli per ogni tipo di cantiere) ma perfino fatta la tara di questa irregolarità, ci si chiede come la Fifa possa accettare a cuor leggero di associare il suo nome a un Paese in cui alla vita umana viene dato così scarso peso.
Tutto questo per concedermi un finale tra il malinconico e il risorgimentale. Malinconico davanti allo spettacolo di uno sport tanto popolare finito in mano a una classe dirigente così povera di cultura, limitata nella visione e nell’etica, e risorgimentale in quanto, come credo, il patrimonio sportivo (e artistico) del calcio non potrà che essere riscattato da chi veramente lo ama. Si va ai supplementari: vinceremo noi.
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