Vita artificiale

Una delle spinte psicologiche che motivano i grandi scienziati è la possibilità di "tirarsela" un po’. Immaginate di aver studiato tanto, di avere uno smisurato talento per la ricerca, di lavorare in uno di quei candidi laboratori dove si entra come in un bunker o in una base segreta della Cia. Immaginate di vestire il camice bianco anche al matrimonio di vostra figlia, di saper risolvere equazioni che, viste alla lavagna, sembrano insetti troppo cresciuti. Immaginate infine di essere nella lista dei possibili premi Nobel e poi ditemi se, la sera a cena con gli amici, riuscite ancora a resistere alla tentazione di fare il fenomeno.
Il conoscente idraulico potrà vantarsi di aver installato due docce e un bidet; l’insegnante confiderà di aver trovato, finalmente, una classe in cui la percentuale di asini non supera il 90 e il commercialista illustrerà qualche nuova detrazione. Ma voi, se fate lo scienziato, potreste stupire tutti con effetti speciali. Potreste parlare, per esempio, della vita artificiale, l’ultima frontiera in fatto di scienza. «Tra poco - direte ostentando sufficienza - saremo in grado di produrre la vita artificiale. Costruiremo in laboratorio cellule sane con cui sostituire quelle malate; avremo arti nuovi al posto di quelli malati o, addirittura, con una modifica apportata alla struttura genetica, potremmo indurre il corpo a far ricrescere quelli amputati». Dopo di che, tornate a casa e vi cade il cellulare nel water: allora capirete che, prima di parlare di vita artificiale, occorre smetterla di sottovalutare quella naturale.

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