Vivi e morti

Nei giorni scorsi, in momenti diversi, si è parlato di Giorgio Faletti e di Max Pezzali. Ho sempre pensato che i due personaggi avessero molti punti in comune - non è proprio il caso, ora, di rivelare quali -, e oggi se ne aggiunge uno nuovo: sono entrambi morti.

Faletti, purtroppo, è morto per davvero, portato via da un tumore alla troppo giovane età di 63 anni; Pezzali è morto “per finta”, ovvero dato per scomparso in un incidente motociclistico da una voce (fasulla) circolata sul web: è stata la stessa “vittima” a fermare la spirale di disinformazione protestando la sua esistenza in vita con un tweet.

Rimediato all’errore e restituito lo status di vivente al povero Pezzali, potremmo tutti dimenticare l’incidente e dedicarci al prossimo “post” e al prossimo video “virale”, oppure tornare a giocare a Candy Crush Saga e a Monster Legends, qualunque cosa esso sia, invitando gli amici a fare altrettanto giusto per il piacere di irritarli. Oppure potremmo farci pensosi e riflettere sul fatto che questa forma globale, veloce e, per così dire, democratica di diffusione delle informazioni presenta qualche rischio e che, navigando, come si dice, nella Rete, le rotte segnate sulla mappa non sono sempre affidabili e sicure.

Da un vecchio arnese del mestiere come me, sorge dunque uno spontaneo “urrà” per il giornalismo vecchio stile. Quello che, bussando all’edicola ogni giorno per ottenere il consenso tattile e finanziario del lettore, prima di scrivere della morte di qualcuno deve accertarsene per bene. In caso contrario, gli tocca smentire, scusarsi e comunque lasciare sul campo un po’ di faccia e di credibilità. I giornalisti, purtroppo anche per colpa loro, non godono oggi di eccellente reputazione e si ritrovano spessissimo “bypassati” dalla tecnologia e dal volontariato dei lettori-utenti. Accusata di tanti crimini - dalla faziosità all’assurda e arcaica pretesa di offrire notizie a pagamento - la stampa, come necessità sociale e come supporto democratico, è oggi data per spacciata. E noi lo confermiamo: il giornalismo è morto. Proprio come Max Pezzali.

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