Ci sono giorni in cui penso che quel tale, Henry David Thoreau, aveva avuto un’ottima idea. Se a qualcuno non sovvenisse, Thoreau fu un filosofo e poeta statunitense che, nella prima metà del XIX secolo, aderì al trascendentalismo, corrente di pensiero alla quale appartenevano anche personalità come Ralph Waldo Emerson e Walt Whitman.
Thoreau è oggi ricordato soprattutto per l’impresa compiuta tra il 1845 e il 1847 quando, per due anni, due mesi e due giorni, visse in completa solitudine in una capanna immersa nei boschi sulle sponde del lago Walden, nel Massachusetts. Al suo ritorno diede alle stampe un libro - intitolato “Walden ovvero Vita nei boschi” (Walden or Life in the woods) - nel quale offriva il resoconto di quella sua esperienza lontana da un consorzio umano che considerava troppo piegato alla logica mercantile e schiavo dei beni materiali.
Tornando al mio caso personale, ci sono giorni in cui vorrei imitare Thoreau passo per passo, con l’eccezione del librone, che penso di poter risparmiare all’umanità. Da qualche tempo, infatti, avverto un senso di assedio da parte della tecnologica e di eccessiva dipendenza dalla sua assistenza. Se il segnale Wi-Fi cala di una tacca e il download rallenta, la frustrazione già inizia a sobbollire; se una nuvola ostacola il satellite e, di conseguenza, la ricezione di “Cucine da incubo Usa” su Sky ne risulta leggermente disturbata, ecco che il mio sistema nervoso incomincia a protestare, a torcersi, a piagnucolare per l’insopportabile privazione.
Mi capita anche di essere seduto in casa e di avvertire un richiamo elettronico proveniente da un punto imprecisato. Che cosa può essere? La lavatrice ha finito il ciclo? Il microonde ha bisogno di qualcosa? Il telefonino si sta scaricando, oppure è la caldaia che sta per esplodere?L’incertezza solleva in me una perturbazione umorale, un fremito di panico, il dubbio dell’impotenza. Thoreau fammi posto. Anzi facciamo cambio: a casa mia potresti scrivere “Life in the Wi-Fi”.
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