Non sarà granché come dilemma, tuttavia devo ammettere che, un poco, mi tormenta. Di quale dilemma si tratta? Molto semplice: è in realtà possibile apprezzare qualcosa che, a pensarci bene, non si approva?
La questione di cui sopra è affiorata sottopelle alla riapertura di “Masterchef”, o meglio alle prime puntate della terza edizione italiana del medesimo reality-show, puntate che, non lo nascondo, mi hanno visto interessato se non proprio entusiasta spettatore.
Che io mi interessi di zucchine trifolate e di quaglie alla riduzione di Chianti è cosa puerile e tutto sommato innocua, non fosse che il meccanismo di “Masterchef”, nonché di molti altri reality-show - a cominciare dal popolare “X-Factor” -, nasconde una logica-trappola che non mi sento di condividere.
La competizione culinaria di Sky propone un modello di incentivazione personale in cui, invece di offrire, secondo merito, una buona occasione ad alcuni, offre una grandissima occasione a uno solo . “Masterchef” adatta il modello dello sport più competitivo a quello della riuscita professionale: tantissimi ci provano, uno solo vince. Come altri reality, lo show culinario di Sky crea un vincitore e centinaia, se non migliaia, di perdenti. Ingigantisce il premio rendendolo quasi irraggiungibile: il paradosso è che attrae tanti più concorrenti in quanto conquistarlo è altamente improbabile.
Uno show che distribuisse premi di minore magnitudine ma più numerosi e ragionevoli, legandoli a un merito concreto e ponderato e sottraendoli alla fortuna o dal capriccio di giudici-divi, assomiglierebbe più alla realtà che non a un reality. O meglio, assomiglierebbe a una realtà che pensiamo ideale: quella che riconosce l’impegno e ne concede il frutto senza farlo passare per una improbabile - nel vero senso della parola - lotteria. Se ne deduce che la realtà, oggi, avara, capricciosa e un poco crudele, assomiglia più ai reality che alla realtà stessa. Ma qui il discorso si fa complicato. Chissà come saranno venute le zucchine?
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