ALTERINCOM, VOL. III

 

 

Buona domenica,

la notizia culturale – e sottolineo culturale – della settimana è che Sole a catinelle di Checco Zalone ha già incassato 13 miliardi. Siccome “mio fratello è figlio unico perché non ha mai giudicato un film senza prima vederlo” sono andato a vederlo e... boh. Pensavo peggio, però si ride solo a tratti, ci sono interminabili scene di raccordo che servono unicamente a fare minutaggio, condite da canzoni autografe per “fare Siae” anche dal punto di vista musicale stemperando così anche le battute più divertenti. Negli anni Settanta Franco e Ciccio, negli anni Ottanta Nuti, nei Novanta Benigni, il nuovo millennio si è aperto con lo strapotere di Aldo, Giovanni & Giacomo, ora tocca a Zalone. Sempre meglio di De Sica e Boldi. Credo. Colpisce la presenza di Marco Paolini – l’attore, non quello che sta dietro ai politici nei Tg – sempre più sosia di Sallusti, che non si capisce se vuole dimostrare che non è uno snob portando a casa, gli auguro, un bel mucchio di soldi senza ammantare il tutto di chissà quale valore artistico. Zalone, dal canto suo, ha consigliato la visione non solo del suo film (1.200 copie, praticamente lo proietta anche il vostro microonde se non fate attenzione), ma anche del piccolo Zoran, il mio nipote scemo, operina di Matteo Oleotto che non riuscirò, invece, a vedere tanto presto visto che è uscito in ben 11 copie in tutta Italia. Ma non so se mi perdo molto. Ma durante i provini (trailer non è una mia parola) sono stato minacciato da Indovina chi viene a Natale, cinepanettonata con Abatantuono, Bisio, Raoul Bova senza braccia (avete letto bene), dal titolo così brutto che potrebbe venire da un altro film in cui si ironizza sui cinepanettoni, ed è una morte un po’ peggiore...


PESCATORIA

THE WATERBOYS

Fisherman’s box (Chrysalis)

Il sottotitolo (The complete Fisherman’s blues sessions 1986-88) dice già tutto, ma forse qualcuno non conosce uno dei dischi più belli degli anni Ottanta. È nato in quel decennio quasi per caso, perché in mezo ai sintetizzatori e alle batterie elettroniche era difficile che un disco di folk rock riuscisse a rompere gli schemi. Waterboys è una creatura dello scozzese Mike Scott (che prese il nome in prestito da Lou Reed, giusto per ricordarlo pure qui). Il musicista per l’occasione si trapiantatò in Irlanda assieme al violinista Steve Wickham mentre Anto Thistlethwaite non cambiò solo nazione, ma anche strumento passando dai fiati alle corde, dal sax al mandolino. Fisherman’s blues è un capolavoro – era chiaro già quando uscì nel 1988 dopo un silenzio durato ben tre anni – ma la sua lunghissima gestazione faceva comprendere che alle spalle dell’album c’era di più. C’erano le 121 canzoni contenute in questo box di sei compact, a sua volta dal prezzo estremamente contenuto (si aggira sui 30 sacchi9 anche se ne esiste un’edizione inutilmente più costosa (comprende anche il vinile del disco originale e un ulteriore cd di pezzi altrui che hanno ispirato Scott e compagni, Bob Dylan e Van Morrison su tutti). Per chi conosce e ama Fisherman’s blues e sta aspettando di rivedere i tre Waterboys al Conservatorio di Milano (accadrà il 22 novembre) si tratta di un lavoro imperdibile, ma anche per i neofiti è un tuffo nella bella musica.

NdA: ah, per i fan di Davide Van De Sfroos, poi questo, assieme a If I should fall from grace with God dei Pogues è uno dei dischi che ha ispirato il sound dell’artista laghée così come dei ticinesi Vad Vuc (saranno All’unaetrentacinquecirca sabato prossimo, non mancateli). Se, invece, non lo sopportate (l’artista laghée, intendo) abbandonatevi lo stesso al blues del pescatore. Vi lancio un’esca:

https://www.youtube.com/watch?v=HSuYUItahrE&feature=youtube_gdata_player


DYLANOLOGIA

BOB DYLAN

The bootleg series vol. 10 – Another self portrait (Columbia / Sony)

A proposito di Dylan. Solo Bob Dylan. Solo lui può permettersi di celebrare in pompa magna quello che è unanimemente considerato uno dei suoi dischi più brutti, il famigerato Self portrait. Questo è, sostanzialmente, un atto di rivincita: una raccolta di brani inediti realizzati in un periodo molto particolare della sua carriera. Nel 1970 Self portrait si presentava nel migliore dei modi: doppio come il capolavoro “Blonde on blonde”, un titolo - autoritratto - pieno di promesse e la poi la doccia fredda. Cover svogliate di brani altrui, confuse registrazioni live, un’accozzaglia di bric à brac indegna della statura quasi leggendaria di Dylan. E il punto era proprio quello: iconoclasta fino in fondo, fino all’autolesionismo, Bob decise di lasciarsi alle spalle quel pubblico che lo seguiva come un profeta spiazzandolo con una raccolta di canzoni impietosamente stroncata dalla critica e rigettata dai fan (che lo spedirono, a scatola chiusa, in testa alle classifiche, salvo pentirsi subito amaramente dell’acquisto). Con il senno di poi non era tutto da buttar via (specie rispetto ad altre nefandezze dylaniane successive), ma la piena rivalutazione è impossibile. Ed ecco l’autorivalutazione dell’autoritratto: inediti e rarità a raffica a dimostrazione che in quel periodo vennero incisi pezzi straordinari, volutamente lasciati da parte. Nell’edizione “deluxe” (quattro cd invece di due), lo storico concerto del 1969 all’Isola di Wight oltre alla rimasterizzazione del disco incriminato. E tutti i fan lo compreranno ancora. Solo Bob Dylan può.

NdA: domani sera vado finalmente a vedermelo all’Arci Mboldi già sapendo che il cornacchione dylanierà le mie orecchie con strazii vari. Ma sentitelo qui:

https://www.youtube.com/watch?v=ePUgKh8k8V0&feature=youtube_gdata_player


VANITÀ

VAN MORRISON

Moondance – Deluxe edition (Rhino)

A proposito di Morrison. Premesso che cinque cd di inediti per un solo album sarebbero troppi per qualsiasi opera, in questo caso bisogna fare un’eccezione. Assieme al precedente Astral weeks, questo è l’altro album perfetto di un artista imperfetto, scorbutico, umorale, ma anche geniale (oggi forse non più). A differenza di Astral weeks, che appartiene a un altro pianeta (forse Kepler 48B), Moondance rappresenta il primo esemplare capitolo dello srtile che Van avrebbe percorso, girandoci attorno da vari punti di vista, nei decenni successivi, Coevo di Self portrait, questo album venne, al contrario, immediatamente riconosciuto per quello che è. Dovrebbe già essere nelle vostre case, altrimenti costruite in vano, ma sulla distanza di quattro dischi scintillano gli inediti (pochi) e le versioni differenti (tantissime, tutte a loro modo affascinanti). C'è anche un blu ray finale con tutto quanto in uno.

NdA: mi rendo conto che questa è una settimana da rubbivecchi della musica, ma di fronte a tutto ciò non si può tacere. Ah, per chi ne fosse stato convinto, no, Moondance non è un pezzo di Bublé. Ecco un raggio di luna:

https://www.youtube.com/watch?v=D2VNjPytp8c&feature=youtube_gdata_player


CARTOLERIA

IAN SANSOM

L’odore della carta. Una celebrazione, una storia, una elegia (Tea, 285 pagine, 13 sacchi)

Immaginiamo per un momento che la carta stia per scomparire. Che cosa andrebbe perduto? La risposta è semplice: tutto. La carta è tutt’intorno a noi. E non pensiamo soltanto ai libri, alle lettere, ai quotidiani; pensiamo ai certificati, alle carte da gioco, ai tovagliolini, ai biglietti da visita, agli imballi dei telefoni cellulari e alle bustine del tè. Siamo gente di carta. Tuttavia, si dice, l’epoca della carta è al tramonto: si vendono più ebook che libri cartacei, i biglietti elettronici hanno rimpiazzato quelli tradizionali, gli archivi vengono digitalizzati. Il mondo in cui viviamo è stato costruito con la carta, nondimeno ovunque guardiamo la carta sta scomparendo e stiamo entrando in un nuovo mondo, senza carta. In questo libro, Sansom esplora tutti i paradossi di questo eccezionale materiale inventato dall’uomo e la sua presenza, silenziosa e ininterrotta, dietro ogni aspetto della nostra vita. Un’opera divertente e stracolma di curiosità e informazioni, una riflessione di straordinaria attualità.

NdA:la scheda editoriale lo descrive perfettamente. Di mio aggiungo solo che, per me mangiatore di carta (sì, anche nel senso letterale) è stata una scoperta preziosa perché è sempre bello per un feticista scoprire di non essere totalmente da solo. Se anche voi prima di sfogliare un libro lo odorate, questo volumetto fa per voi.


EXPERIMENTAZIONE

GRUPPO 63

Il romanzo sperimentale. Col senno di poi (L’Orma, 435 pagine, 26 sacchi)

Sigh – Quando ancora ci si poteva permettere di impegnarsi in discussioni intellettuali realmente interessanti, non sterili e anche necessarie per evitare che un mezzo espressivo e artistico – il romanzo, ovvio – restasse prigioniero delle maglie della ripetizione e della banalità. Poi la storia – a proposito di senno di poi – ci racconta com’è finita, con Fabio Volo in testa alle classifiche e questo libro che è rimasto fuori catalogo per mezzo secolo. Questa nuova edizione, curata da Nanni Balestrini, aggiunge al testo originale anche una bella appendice, “col senno di poi”, appunto.

NdA: attenzione, fugo un dubbio. È LEGGIBILE. Ripeto: È LEGGIBILE!


PRATTERIE

HUGO PRATT – MILO MILANI

Fanfulla (Lizard, 127 pagine, 27 sacchi)

Forse qualcuno se lo ricorda, a puntate sul Corriere dei Piccoli negli anni Sessanta. Io l’ho recuperato faticosamente molto dopo, diventato una rarità e considerato una minizua nella carriera di Pratt rispetto a Corto Maltese. Eppure è contemporaneo a Una ballata del mare salato e, anzi, diciamola tutta: Fanfulla è palesemente Rasputin senza barba. Un recupero importante.

NdA: anche un ottimo regalo per fanciulli, ché non si debba un dì asportare loro chirurgicamente il controllo del videogame... Qui c'è pure da sfogliare:

http://www.rizzoli-lizard.com/fanfulla-hugo-pratt-mino-milani-2/


LA TELEVISIÙN

(ATTENZIONE: non mi paga Iris, ma questa settimana azzecca tre bei titoli uno in fila all’altro e pure alla stessa ora)


BRASSERIE

Martedì 5 novembre, Iris, ore 9.55

Chi lavora è perduto (Italia, 1963, 90 minuti) di Tinto Brass con Pascale Audret, Tino Buazzelli, Piero Vida e Sady Rebbot

Bonifacio è un rampante disegnatore fresco di diploma e sta per entrare a far parte di una grande industria, ma il lavoro lo annoia incredibilmente. Idee e fantasie verso posizioni totalmente anarchiche, anche se due amici sono stati ricoverati in manicomio proprio a causa del loro idealismo. Il giovane senza speranza si ribella contro il sistema che dovrebbe inglobarlo, vagando senza meta per Venezia.

NdA: quando Brass suscitava scandalo, ma senza ancora essere precipitato nel suo incubo erotico ipertrofico. Questo suo film d’esordio venne sminuzzato dalla censura, poco visto dal pubblico che lo conobbe con un altro titolo, In capo al mondo, mentre oggi, visto con gli occhi della crisi contemporanea, assume pure nuovi significati.


 PARAPASOLINIANO

Mercoledì 6 novembre, Iris, ore 9.50

La commare secca (Italia, 1962, 98 minuti) di Bernardo Bertolucci con Marisa Solinas, Alan Midget, Giancarlo De Rosa e Vincenzo Ciccora

Sul greto del Tevere si rinviene il cadavere di una prostituta assassinata. Sono sospettati un ladruncolo, un ruffiano, un soldatino e due teneri adolescenti. Ciascuno ha un alibi e racconta la propria storia.

NdA: se ci si imbatte per caso, lo si potrebbe scambiare per un inedito di Pasolini (e, in questo senso, lo piazzerei in un trittico assieme a Una vita violenta di Brunello Rondi e Paolo Huesch, che è pure dello stesso anno, e a Milano nera di Gian Rocco e Pietro Serpi, la cui sceneggiatira è da poco uscita in volume). Ma è Bertolucci, qui esordiente appena ventunenne, a fare tutta la differenza nello stile.


TENCHISMO

Venerdì 8, novembre, Iris, ore 9.50

La cuccagna (Italia, 1962, 93 minuti) di Luciano Salce con Donatella Turri, Luigi Tenco, Umberto D’Orsi e Liù Bosisio

Triste odissea di Rossella, giovane con diploma di stenodattilo, alla ricerca del primo impiego in una Roma che pullula di mandrilli, profittatori e cambiali in protesto. L’aiuta Giuliano, anarchico arrabbiato di buon senso.

NdA: questo non è propriamente un “bel film”, però è molto interessante. L’atmosfera è la stessa degli esordi di Olmi (Il posto, I fidanzati) anche se siamo a Roma e non a Milano. Il ritratto d’ambiente ricorda quello operato da Pietrangeli nel successivo Io la conoscevo bene, anche se è indubbiamente meno centrato. Però ha un fascino tutto suo senza dimenticare che resta l’unica interpretazione cinematografica di un Luigi Tenco anche troppo sopra le righe (un James Dean de noantri) ma che cattura l’attenzione rispetto alla Turri. Prima del recente recupero è stato a lungo un film invisibile.


In collaborazione con: Eden Design, Solfo

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