Un’edizione un po’ più breve, oggi, intanto perché come è logico in questi giorni non è uscito nulla di rilevante, e poi perché all’Epifania ce n’è sempre meno che a Natale. In Irlanda è, infatti, detta anche Little Christmas. Negli Usa, invece, la Befana non esiste: noi ci siamo importati tutto, a iniziare da Halloween e loro gniente. Potremmo provare a esportargliela, vendergliela noi, per una volta: ci conoscono, siamo quelli della Chrysler...
MUSICSOX
Non c’è paragone: il numero di befana songs è irrisorio rispetto alle Babbo Natale songs (e Christmas songs varie). In compenso ve n’è a iosa per i Magi, ma non voglio suggerire né vecchiette sulla scopa, né migranti a caccia di una stella, bensì...
HENRY COW
Legend (1973) Unrest (1974) In praise of learning (1975)
La festa della calza mi offre l’eccellente opportunità per ricordare l’esistenza di una musica “altra”, differente non solo da quella che ha scopi puramente commercialie di intrattenimento (e per la quale, quando ben confezionata, personalmente nutro il massimo rispetto) e per quella con velleità, artistiche più meno realizzate. Quella degli Henry Cow (sì, non è nome e cognome e non ci sono mucche, solo tre calzette) è musica per la musica, per il piacere di suonare e sperimentare: non jazz, non (solo) avanguardia, non propriamente rock (nemmeno progressivo, ma quelli eran gli anni), ma un irripetibile amalgama di tutto questo e anche di più, proprio come nella calza della Befana. Oltre alle tre calzette vi sono altri due dischi, Desperate straights, in collaborazione con gli Slapp Happy, altro bel collettivo di originaloni, più legati al mondo della canzone, e Western culture (e un Concerts con Robert Wyatt ospite). Vi venisse voglia di cercarli, scoprirete un mondo. Se lo avete già scoperto è bello come una luna e questo pezzo è bello come la luna:
https://www.youtube.com/watch?v=Vfpq11-sRVQ&feature=youtube_gdata_player
BOOKSOX
Nelle calze non si mettono mai libri, ed è un male: il motivo? La forma del libro che mal s’adatta al pedalino, ma invece di prende un volumetto piccinopicciò, basta prendere una calza più grossa. Eccheddiamine...
JAMES JOYCE
I morti (Marsilio, 177 pagine, 14 sacchi)
Racconto conclusivo e momento epifanico della raccolta Dubliners, I morti è divenuto un “objet de eulte” a sé stante della narrativa breve novecentesca. Come nei quattordici racconti che lo precedono, è Dublino la veta protagonista, impietosamente e dolorosamente rappresentata nella paralisi culturale e motale dei suoi abitanti e nella fissità claustrofobica dei suoi rituali, dei suoi ideali e dei suoi simboli asfittici. Ed è appunto il più simbolico dei rituali - la tradizionale festa natalizia delle signorine Motkan - che fa da cornice al racconto: una “natura morta” splendidamente dipinta nel dettagliato resoconto degli arrivi e partenze, nell'inventario minuzioso di cibi e bevande, nell’annuncio gridato delle figute della quadriglia e nelle ridondanti formule di benvenuto e commiato che aprono e chiudono la festa. Officiante supremo del rito è Gabriel Conroy, maschera di Joyce, che si muove insofferente e impacciato tra sussiego e disagio, autocompiacimento e insicurezza, alla ricerca di conferme di una identità traballante sul vuoto vertiginoso della propria paralisi e del proprio fallimento interiote. Fino allo struggente e ambiguo finale, quando percepisce nel turbamento improvviso e nella distanza di sua moglie Gretta la presenza di un fantasma del passato e di una frattura tra loro, sempre esistita sotto la superficie dotata del grande amore e della famiglia felice...
NdA: il riassunto non è felicissimo, ma questa edizione recente, con testo originale a fronte, è la migliore in commercio attualmente (del racconto e non di Gente di Dublino). Lo so, lo so... Ancora Joyce? Ancora reiteri la tua spiccata esaltazione? Insomma, ce la meni ancamò col Joyce? Eccelosò, però all’Epifania non c’è racconto migliore di codesto. E, per una volta, consigliatissimo anche il film di John Huston The dead – Gente di Dublino, uno dei migliori adattamenti cinematografici di un importante testo letterario.
FILMSOX
Tornando alla tv, m’accorgo sempre più di come le festività vengano interpretate dai responsabili dei palinsesti come l’occasione per piazzare un bel filmone lungherrimo e levarsi il pensiero. Così domani ci sono Il dottor Zivago (tre ore e dieci) su Rete4 alle 15.05, Spartacus (quello di Kubrick, non la serie, tre ore e quattro minuti) su Iris alle 21.10 in contemporanea a Balla coi lupi (tre ore secche) su La7. Ma ci sono diversi titoli degni di nota come la commedia A piedi nudi nel parco, tratta da una pièce di Neil Simon e interpretata da una Jane Fonda e da un Robert Redford al massimo dello splendore su Raimovie alle 17.30, il bellissimo Moon, capolavoro di fantascienza contemporanea firmato da Duncan Jones (il figlio di David Bowie!) alle 21.10 su Cielo e l’altrettanto affascinante, anche se ambientato nel Cinquecento con un lieve salto dal futuro di prima, Il mestiere delle armi, uno degli ultimi lavori di Ermanno Olmi prima della crisi conseguente al sopravvalutato Centochiodi su Raistoria alle 22.15. Ma vi invito soprattutto a una visione un po’ più difficile
LaEffe, 22.30
Tideland - Il mondo capovolto (Canada / Gran Bretagna, 2005, 122 minuti) di Terry Gilliam con Jeff Bridges, Jodelle Ferland, Janet McTeer, Brendan Fletcher e Jennifer Tilly
Jeliza-Rose vive assieme ai genitori, entrambi dediti all'uso di eroina: dopo la morte della madre per overdose, la bambina si trasferisce assieme al padre da Vancouver a una vecchia casa in mezzo alla campagna. Qui, deceduto anche il padre, la piccola inizia una nuova vita, circondata da bizzarri personaggi e a metà tra sogno e fantasia...
NdA: la premessa è che non si tratta di un film semplice, né gradevole, né divertente. È l’opera problematica di un regista altrettanto problematico. Rifiutata praticamente da tutti: dalla distribuzione, che l’ha fatta uscire alla chetichella due anni dopo la produzione, dalla critica che lo ha irriso e dal pubblico che lo ha rifiutato. Offrite una chance a un lungometraggio che ha il coraggio di gettare uno sguardo disincantato sull’immario infantile, soprattutto sui suoi lati oscuri, talvolta indecifrabili e anche inconfessabili... Ah, naturalmente è inadatto al clima festivo, per non parlare dei bambini...
© RIPRODUZIONE RISERVATA