Il primo maggio di un papà

Dedico il primo maggio a un papà, il cui sguardo mi segna. Un papà senza lavoro, come tanti altri, e meno male – gli dicono - non ha una famiglia numerosa, ma un unico bambino. Come altri.  Sua moglie ha un lavoro e in qualche modo vanno avanti. Insomma, il suo è un dramma pesante, ma meno di altri apparentemente: tant’è che sta cercando da tempo un posto per sé, senza dimenticare un ex collega con tre figli. E per lui si dà ancora più da fare.

Non ha niente di speciale, questo papà, in un’epoca maledetta non dalla sorte, ma da affaristi e perverse logiche che qualcuno avrà pur costruito. Tranne lo sguardo, triste e chiuso. Non si lamenta mai. Ha sempre fatto l’operaio specializzato, con dedizione e onestà, finché la sua ditta ha chiuso. Da allora si è messo sulle tracce di un altro impiego. Nonostante abbia angeli che si sono commossi e cercano di aiutarlo, più spesso trova sulla strada persone che lo illudono, ma quando c’è da firmare un contratto, si rivolgono a chi ha 20 anni meno di lui.

Questo papà – che si è sempre occupato della sua famiglia e appena poteva, anche degli altri - incassa delusione dopo delusione e il suo sguardo vaga sempre più in basso. Oggi non oso pensare che effetto gli farà tutta la retorica scatenata sui nostri schermi.

E quindi lo sussurro, per non fargli male, ma ho proprio voglia di dirgli: guarda che questo primo maggio è tuo e non te lo può togliere nessuno, a differenza del lavoro. Che tu ti senti vuoto, ma sei un esempio di dignità e l’orgoglio della tua famiglia. Certo, con l’orgoglio non si mangia. Ma gli sguardi delle persone care, di un figlio che va fiero di te, tanti di quegli sfruttatori che ci hanno portato a questo disastro, non li vedranno mai.

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