Cronaca / Como città
Sabato 10 Luglio 2010
"Io quasi paralizzata
ma devo lavorare"
Un'infermiera professionale del Sant'Anna di Como è a casa da dicembre per una frattura dell'anca. Ma ha anche una serie di mali seri, come tre ernie, problemi al ginocchio, a un piede e una gravissima forma di asma. Non può stare in piedi per lunghi periodi, sta in sedia a rotelle o fa pochi passi con due stampelle. Non può essere trasportata se non con un'ambulanza. Eppure l'hanno giudicata idonea al lavoro. <Spero che mi prepensionino>
Daniela ha 56 anni, è un'infermiera professionale dell'ospedale Sant'Anna. Fino al 1992, nessun problema. Dal 1997 in poi, un calvario. Perché la signora, che vive da sola con il suo cane Pippo, è stata operata di isterectomia. Le hanno tolto le ovaie e cinque anni dopo l'intervento ha iniziato ad avere una forma di asma gravissima. L'hanno bombardata di cortisone e si è gonfiata. Ora pesa 104 chili, anche se mangia ben poco. Quel che le consegnano gli assistenti sociali, a pranzo e a cena perché anche di questo, ora ha bisogno. Non vorrebbe raccontare la sua storia, la convince la presidente del Filo d'argento di Camerlata: «Non puoi andare a lavorare, capisci che non ti reggi in piedi? Devi farti aiutare. Noi non abbiamo neppure i mezzi per portarti. Se prendi il bus e cadi resti paralizzata per tutta la vita». Daniela è lucida nel ricostruire la sua storia, ma scoppia spesso in lacrime.
«A dicembre mi ha ceduto l'anca e sono rimasta a casa in malattia - dice -. Immobilizzata a letto, non ho più potuto far nulla. Neppure portare fuori il mio cane. Ho dovuto pagare una signora che lo portasse fuori. Il cane è il mio unico lusso, e se dico lusso è perché adesso non potrei neppure permettermi questo».
Daniela guadagna 1.200-1.300 euro al mese, ma ora è al 90 per cento per via della malattia. Comunque una parte le viene trattenuta per la cessione di un quinto. Quel che resta se ne va per l'affitto e le bollette. Però con l'affitto è rimasta indietro perché i soldi li ha dovuti usare per le cure mediche. «Per fortuna faccio l'infermiera, so cosa mi serve, per esempio non potevo usare le canadesi (le stampelle) per via del peso, allora mi sono fatta dare il girello. Ma la sedia a rotelle l'ho dovuta pagare. Adesso riesco a fare pochi passi con le canadesi, ma non posso ritornare a lavorare». È tutto scritto nelle diagnosi dei medici. Ha problemi seri alle anche, ai piedi, alla spalla, ha tre ernie alla schiena che non si possono operare perché sarebbero letali. Ha la sua gravissima forma d'ansia. «Il medico del lavoro mi ha ritenuto idonea - racconta - ma dice che posso lavorare solo per brevi periodi e sempre seduta. Io lavorerei anche, ma chi mi porta in ospedale? Mi hanno sempre trasportato in Croce rossa. Il medico mi ha giudicato idonea perché sono lucida, ragiono, so fare il mio mestiere, ma i miei disturbi restano».
Daniela passa le sue giornate al telefono, inseguendo Asl, direzione dell'ospedale e assistente sociale. Sa chi chiamare, sa a chi scrivere, conosce i suoi diritti. Non vuole niente più di quello che le permetterebbe di stare serena. «Io sono stata giudicata invalida al 58 per cento la prima volta, ma ora le condizioni si sono aggravate e io aspetto ancora una risposta. Lavoravo in laboratorio, poi mi hanno spostato ai poliambulatori perché non potevo più fare le cose che avevo sempre fatto. Vorrei che mi prepensionassero». «E magari che ti dessero anche l'accompagnamento», suggerisce la presidente dell'Auser filo d'argento. «E se invece si indispettiscono perché ho parlato de miei problemi?». «Non devi vergognarti di nulla - la tranquillizza la presidente -. Non stai bene, non puoi lavorare».
Anna Savini
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