«Com’era bella Erba
quando era povera»
Intervista a Emilio Magni, giornalista e scrittore, al quale il Comune ha conferito l’onorificenza dell’Eufemino
Franco Tonghini
Erba
Mezzo secolo di professione speso a raccontare Erba e la sua gente, le trasformazioni subite dalla Brianza, Como e il suo lago, l’ascesa di Lecco: a 75 anni ancora da compiere Emilio Magni può ben dirsi la memoria storica di questa terra compresa tra montagna e pianura. La sua città ha voluto conferirgli l’onorificenza dell’Eufemino, insieme all’imprenditore Luigi Farina, nel corso di una cerimonia pubblica in programma domenica mattina alle 11,30 al parco Majnoni.
Giornalista e scrittore. Il tuo ultimo libro, “Richen principe della zolla”, è colmo di nostalgia per una Erba che non c’è più.
Mi viene da ridere quando mi chiamano scrittore. Io mi definisco semplicemente “raccontista”, con un neologismo che ho inventato io. Nasco giornalista e il giornalismo è nel mio dna. Leggevo il Corriere della sera fin da piccolo e mi appassionavo ai grandi reportage di Montanelli e di Egidio Lilli. Nei miei libri invece ho portato l’amore per la gente di Erba, o meglio per quella Erba della gente che per andare sui giornali deve arrivare a compiere un reato.
Come hai iniziato?
Scrivendo cronache sportive di gare di ciclismo e delle partite dell’Erbese per la Gazzetta dello Sport, per il Giornale di Lecco e L’Ordine, La Provincia. Allora non c’era Internet e nemmeno il fax. Spedivo gli articoli col sistema del cosiddetto “fuori sacco”. Li portavo fisicamente a casa di Manzeni, un tipografo della Provincia che viveva a Longone e che andava al lavoro tardi, alle 7 di sera, portandosi dietro i miei fogli battuti a macchina. Ma il mio mestiere vero allora era un altro, ero disegnatore meccanico. La svolta nella seconda metà degli anni Sessanta, la ditta per la quale lavoravo non andava troppo bene e allora telefonai a Gianni De Simoni, direttore de La Provincia, per chiedergli un aiuto a trovarmi un’altra collocazione. Io pensavo che sarei finito in un’altra azienda. Con mia grande sorpresa una settimana dopo mi convocò a Como, alle dieci e mezza di sera, per dirmi che il posto me lo dava lui. Sono molto grato anche a Stefano Bonetti, che alla Provincia è stato il mio mentore, e poi a Natale Gagliardi, collega negli anni al Giorno.
Come era Erba ai tuoi esordi?
Un centro con tante potenzialità e io come tanti mi aspettavo che diventasse una vera città. Purtroppo non è avvenuto, e io ho perso la fiducia che ciò possa avvenire in futuro visto quanto è stato fatto negli ultimi trent’anni. L’unica cosa memorabile fatta dai nostri amministratori è stato l’acquisto di parco Majnoni. Il municipio non è stato ristrutturato molto bene, ma pensiamo cosa sarebbe la città adesso se non ci fosse questo polmone verde. Tutto il resto però è cresciuto in modo anonimo e banale, come i suoi palazzoni. Come ha avuto modo di dire Cesare Chiodi, il presidente del Touring Club, che aveva una casa ad Albavilla, Erba è una città brutta in un posto stupendo. Il fatto è che è stato quasi impossibile opporsi alla speculazione edilizia. La città nasce come fusione di piccoli centri molto poveri. A differenza di Cantù e Oggiono, centri che avevano palazzi importanti, qui c’era poco da difendere.
Eppure c’è una vena di malinconia nelle tue parole.
È chiaro che preferivo la Erba di allora. Era un centro rurale, con le sue cascine, i suoi contadini, con una sua identità ben precisa. Il mio lavoro in definitiva è stato di raccontarla, attraverso i suoi abitanti. Ho scritto della fatica del lavoro degli erbesi, ho visto il paesaggio trasformarsi. La Provincia è stata molto importante in ciò, mi ha permesso di documentare quello che accadeva e al contempo mi ha consentito di tenere viva la mai passione e l’amore per la gente di Erba.
Qual è lo scoop che ricordi più volentieri?
Lo scoop non è mai un merito, è una botta di fortuna che va cercata, e facendo il cronista prima o poi qualcosa si trova. Purtroppo il mio ricordo è legato a un fatto tragico, la morte di Elios Mazzotti, il papà di Cristina Mazzotti, colpito da infarto mentre era alla guida di un’auto a Buenos Aires. Mi passò la notizia l’allora sindaco di Eupilio, Salvatore Forni.
Che cosa ti senti di dire ai giovani che nell’era del web 2.0 si avviano sulla strada del giornalismo?
Che non sempre il mezzo fa il messaggio, e che questo, come diceva Guido Gerosa, scrittore e vicedirettore di Epoca nato a Proserpio, è l’unico mestiere che si fa con i piedi, nel senso che bisogna non smettere mai di andare in giro a cercare notizie.
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