«Così ho fatto gol
al portiere della Juve»
Da Lurago a Vinovo passando per Firenze e Avellino: la favola del centrocampista del Como, Panatti. «Ma qui devo ancora conquistarmi un posto in squadra. E occhio al mio fratellino che gioca nell’Inter»
Ernesto Galigani
Curiosa, la vita del calciatore. Passi un intero girone di andata in panchina, mettendo insieme lo straccio di una presenza («Quasi meglio non dirlo», chiosa) e poi, in amichevole contro la Juventus, ti ritrovi a segnare il gol del (momentaneo) pareggio. E che gol. Una sassata, alta e precisa, che piega le mani di Storari, uno che sulle figurine ci sta da un bel pezzo e non è mica cresciuto all’oratorio di Roncofritto.
Eppure Michel Panatti, classe 1993, giovane-vecchio centrocampista del Como, cresciuto all’oratorio di Lurago, non sembra tipo da montarsi la testa. Se non è da un rigore sbagliato che si giudica un calciatore, come diceva il cantante, figuriamoci da un gol di metà settimana, quasi alla conclusione di una sgambata di allenamento. A porte chiuse, per di più, senza neppure una telecamera accesa o un fotografo a immortalare la scena. «Ero entrato nel secondo tempo - dice il giorno dopo l’impresa - e mi è capitata l’opportunità. Tutto qui».
Gioia incontenibile? Pacche sulle spalle? Sì, cioè no... «I compagni sono stati molto affettuosi, i giocatori della Juventus hanno tirato dritto, come è giusto. Siamo tutti professionisti. E poi, detto tra noi, nel calcio non bisogna aspettarsi niente da nessuno. Bisogna lavorare sul campo e conquistarsi spazio giorno dopo giorno».
E’ una bella storia di provincia quella di Michel, cresciuto all’oratorio di Lurago e poi finito, mentre i compagni ancora erano alle prese con gli antesignani di Peppa Pig, alla Vis Nova di Giussano e, di lì, con un salto quasi automatico, al Monza. Calcio vero, insomma, con un allenatore come Beppe Bergomi - sì, lo zio del Bearzot campione del mondo in Spagna - pronto a spiegarti che sei un «allievo» soltanto di nome. «Una bella esperienza, quella» ricorda Michel, il cui destino era evidentemente quello di fare il pendolare del pallone. Da Monza a Firenze la strada è lunga ma anche piena di speranze. «Ho avuto Buso e Semplici come allenatori della Primavera e ci siamo divertiti: ho vinto la Coppa Italia Primavera e poi la Supercoppa, sempre contro la Roma».
Ma anche la gioventù (calcistica) finisce troppo presto. «Sono stato ceduto in prestito all’Avellino in prima divisione e il mio mondo è cambiato. Uno stadio vero, una tifoseria calda e appassionata, la stampa che ti sta addosso, l’allenatore che non ti dice più” bravo” anche quando perdi o giochi male. Insomma, un’esperienza che segna».
Tanto girare per poi tornare a casa, nel Como di prima divisione. Papà Cristian e mamma Teresa in tribuna a guardarti giocare. Beh, giocare è una parola grossa... «In effetti, ho messo insieme una sola presenza . Scelte tecniche, si dice. Il ritorno a casa? Beh, la mia fidanzata è contenta ma sa anche lei che il mercato è in corso e che la mia esperienza qui potrebbe finire da un giorno all’altro. Il calcio è strano, non si sa mai dove rotola il pallone».
Già, proprio così. Ti avrebbe riso in faccia, il giovane Michel (Platini non c’entra, assicura), se appena una settimana fa gli avessero pronosticato un gol alla Juventus. E invece, quella sassata ce l’ha ancora stampata davanti: una fotografia a colori di un album che, negli ultimi mesi, è stato in bianco e nero. Come le maglie degli illustri avversari che, così ad occhio, potrebbero averne rilanciato la carriera. «Ma non ci penso - chiosa con preoccupante maturità - Quello forte della famiglia Panatti è il mio fratellino Angelo. Centrocampista come me, gioca nel settore giovanile dell’Inter . Per ora tifo per lui».n
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