Dalle 21 l’incontro con lo scrittore
e regista Alessandro Bergonzoni

Al campus i lavori de Il Cortile dei gentili

Mons. Bazzari e Umberto Curi
Dove va la ricerca

I lavori della prima giornata lecchese del Cortile dei gentili proseguono con un confronto, moderato dal responsabile dell’edizione lecchese della Provincia, Vittorio Colombo, tra monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione don Gnocchi di Inverigo, e il filosofo Umberto Curi. Le domande del confronto vertono sui confini della ricerca scientifica, la sola che sembra prospettare l’obiettivo o l’illusione della fine del dolore. Dolore che invece, almeno nella cultura occidentale, dai tempi della tragedia greca, ha sempre comportato una componente di accettazione e addirittura di crescita.

La storia di Albert Espinosa, non solo braccialetti rossi

Attesa e seguitissima la testimonianza di Albert Espinosa, lo spagnolo autore di “Braccialetti rossi”, la fortunatissima serie che ha portato il dolore nelle case degli italiani attraverso il piccolo schermo. Come molti sanno lo stesso Espinosa, che ora ha 41 anni, è stato, da ragazzino quattordicenne, lungodegente in ospedale. Il cancro gli ha portato via una gamba, un polmone e parte del fegato. «Ogni privazione restituisce qualcosa», ha detto in mattinata davanti a un pubblico attentissimo di ragazzini. Dotato di grande senso dell’umorismo, ha raccontato tra l’altro del particolare e personale rapporto che si viene a creare con le protesi, che a tutti gli effetti fanno parte di ciò che il cancro consegna. «Guardi che perde olio da una gamba», gli disse una volta una passante.

Dolore e paura secondo Sini e Lerner

Il filosofo Carlo Sini, accademico dei Lincei e il giornalista Gad Lerner con Fiamma Satta hanno parlato del dolore e della paura. E di come la percezione di questi sentimenti sono cambiati negli anni. «La paura fa parte dell’uomo», ha chiarito Sini. E Lerner ha specificato: «L’uomo che si confronta con il dolore e la malattia deve affrontare un percorso difficile, ma che può risultare benefico».

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Fiamma Satta e la sclerosi: «Non strumentalizziamo la malattia»

Emozionata, perché “alla presenza del Cardinal Ravasi”. Emozionata, mentre testimonia di una malattia che “non deve essere strumentalizzata”, Fiamma Satta, scrittrice e giornalista, si racconta con candore e tono familiare. «Faccio parte dell’esercito di 110mila ammalati di sclerosi multipla. Vivo una malattia diffusa e misteriosa, variabile, paradigma di tante disabilità. Mi piace pensare che Gesù, guarendo l’uomo dalla mano inaridita, si fosse trovato di fronte proprio a un malato di sclerosi multipla». Una malattia così conosciuta anche in passato da essere “usata” in un cortometraggio di propaganda nazista per giustificare, il disprezzo dei malati e dei disabili e l’eutanasia. Si abusa nel parlare di sclerosi: «Oggi però voglio raccontarvi un modo diverso di viverla». E si racconta a braccio, Fiamma Satta, come un fiume in piena: i primi anni, quando la parola “sclerosi” era bandita dalla famiglia e la malattia metodicamente rimossa. «Ma un nemico, se non lo conosci, non lo puoi combattere». Fino quando «ho smesso di rimuovere la malattia».

E poi? «Poi impari che ci sono terre da conquistare, e tu sei come un pirata: ogni cicatrice è il segno della tempesta che hai imparato ad affrontare e vincere. Scopri di avere armi inedite di cui non eri a conoscenza. Tutti i malati le hanno. Sei un guerriero, o se volete un mago: disponi di una quinta marcia inattesa». Chiedere il silenzio ai propri cari circa la malattia «significa alimentare in loro il rancore inconsapevole verso il malato. Invece bisogna cercare di avere uno sguardo benevolo verso chi guarda alla tua malattia con sgomento. Bisogna arrivare ad infondere coraggio negli altri, dopo che lo si è dati a sé stessi». La malattia ti insegna nuovi baricentri e diversi punti di orientamento, una lingua nuova e conoscenza nuove: «Ad esempio l’arte può rivelarsi una medicina: un film, una poesia, una scultura. Per favore, sforzatevi di eliminare le barriere architettoniche, anche quelle delle chiese». Ma il nocciolo di tutto, è il valore del malato in sé: «Noi sofferenti ci sentiamo spesso d’intralcio. Non dovrebbe però essere così, al contrario. Il nostro valore consiste in tutto quanto abbiamo acquisito nel tempo: forza d’animo, la quinta marcia, il coraggio. Abbiamo affrontato tempeste e sconfitto la paura. Una società che rimuove la malattia avrebbe invece bisogno del nostro “know how”. Ho visto una famiglia assistere con amore infinito il proprio bambino tetraplegico. Si sprigionava un amore quasi tangibile, un profumo. Dice Vito Mancuso: questo amore è l’azione umana massima. Forse qui sta un possibile risposta al dolore innocente»

Il confronto Petrosino - Modonesi

Al campus di via Previati si è concluso il dialogo tra Silvano Petrosino e il biologo Carlo Modonesi, moderato dal giornalista Gad Lerner. «Il dolore non può essere trattato solo dal punto di vista medico o scientifico. – ha detto Silvano Petrosino - Il dolore fa pensare e sul dolore bisogna pensare. Per questo dico che una due giorni come quella del “Cortile dei gentili”, dedicata al “dolore innocente”, è motivo di grande onore. Confronti come questo, soprattutto oggi, sono indispensabili. Non si vuole affrontare il dolore solo come un problema da risolvere ma anche come un tema su cui riflettere». L’approccio al tema del dolore di Carlo Modonesi è particolare perché ha il suo punto di partenza non dall’uomo come individuo ma dall’ambiente che lo circonda, una prospettiva diversa dal solito: «Nel dibattito che si svolgerà a Lecco, volevo provare a raccontare come la sofferenza ambientale, di cui ormai abbiamo testimonianze chiarissime, si trasformi in sofferenza sociale e, dunque, in sofferenza degli individui. La sofferenza ambientale ha una ricaduta sulla salute, come dimostrano l’aumento di malattie e patologie anche per quanto riguarda le malformazioni infantili».

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