Ghiacciai, il 2022 anno orribile. Il Fellaria ha perso sette metri

Il punto In un convegno a Milano la situazione e le preoccupazioni per il futuro. Dal 1992 in Lombardia se ne sono estinti 124. I devastanti effetti della siccità

Anche ai non esperti appare chiaro lo stato attuale dei ghiacciai dell’intero arco alpino: dove un tempo regnava completamente il bianco, ora piuttosto predomina il grigio della roccia.

Gli scenari degli ultimi anni – e, in particolare, del 2022, a pieno titolo l’annus horribilis per i giganti bianchi in provincia di Sondrio, date le temperature elevate anche in alta quota – appaiono ben diversi da quelli di trent’anni fa, proprio quando è iniziata l’esperienza del Servizio glaciologico lombardo.

Monitoraggio

Realtà importante a livello regionale, costituita da esperti nel settore (ma, ancor prima, appassionati di montagna e di natura), negli ultimi tre decenni ha osservato da vicino, con importanti studi direttamente sul campo, il cambiamento. Evidente a tal punto che «quando ci siamo costituiti, nel lontano 1992, c’erano ancora 124 ghiacciai oggi completamente estinti».

Una quota impressionante, destinata ad aumentare nell’arco di poco tempo, che corrisponde tristemente «a un 38% della superficie glacializzata lombarda finora perduto», come ha ricordato sabato Giovanni Prandi, presidente del Sgl, nell’ambito dei festeggiamenti del trentennale dell’associazione.

Ogni anno «scompaiono in media 1,6 chilometri quadrati di ghiaccio, l’equivalente di 220 campi da calcio».

Particolarmente significativo è il time-lapse – un filmato in cui, in pochi secondi, vengono mostrati in rassegna molti scatti – che riproduce il restringimento della lingua del Fellaria orientale, in Valmalenco: soltanto negli ultimi quattro anni si sono persi 25,8 metri di estensione del ghiacciaio nella zona, con un record nella passata estate – dalle temperature torride – di -7,55 metri.

Qui, tra l’altro, l’aspetto apparentemente normale nel 2007 del gigante bianco ha lasciato spazio, negli ultimi quindici anni, a qualcosa di nuovo o, meglio, a un ospite indesiderato: si tratta di un enorme lago naturale, addirittura il più grande dell’intera Valmalenco.

La situazione, insomma, è particolarmente complessa. «Abbiamo preparato talmente bene il futuro – ha aggiunto sabato Luca Bonardi, docente di Geografia dell’Antropocene alla Ca’ Foscari – che, di fatto, già lo conosciamo: sappiamo che da qui ai prossimi trent’anni del glacialismo alpino resterà ben poco».

Eppure, nonostante tutto, «l’operatore scientifico avrà un compito importante anche in futuro: racconterà l’esperienza vissuta, sempre con un’attenzione speciale alla montagna», ha spiegato il glaciologo Riccardo Scotti, tra le anime del Sgl.

Uno scrigno

A Milano, nella cornice del Museo della scienza e della tecnologia “Leonardo Da Vinci”; per il trentennale del Sgl sabato è intervenuto anche Emilio Aldeghi, presidente del Cai Lombardia, che ha paragonato «lo studio del ghiaccio a uno scrigno, nel quale noi ritroviamo la storia del mondo e, di conseguenza, la storia dell’uomo: vediamo il passato, sì, ma possiamo scorgere anche come sarà il futuro».

Grande passione, grande competenza. «L’ingresso di nuove forze, con il nuovo millennio, ci ha spinto anche all’utilizzo di nuove tecnologie, fondamentali per la ricerca», sempre Prandi.

«E il bello – il commento di Claudio Smiraglia, tra i più noti esperti a livello mondiale – è che, col tempo, è cambiata molto la valutazione del ghiacciaio: quello che all’inizio era soltanto un oggetto di studio per qualche sparuto geologo, ora si configura come elemento centrale nel sistema ambientale».

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