In aula il killer di Lurago d’Erba
«Avevo bevuto e sniffato coca»

Davanti ai giudici il luraghese Fabio Citterio racconta del delitto di Caroppa: «Mi si è avventato contro e mi è partito un colpo. Ero confuso, ricordo poco. Quando i carabinieri sono entrati in casa mia, neppure sapevo di averlo ucciso»

Festival del «non ricordo» e del «più o meno» ieri mattina in corte d’Assise, a Como, dove si è celebrata un’ulteriore udienza del processo nei confronti di Santo Valerio Pirrotta, 45 anni, di Lurago d’Erba, imputato dell’omicidio di Antonio Caroppa, freddato il 10 maggio dell’anno scorso nel garage della sua casa di Paderno D’Adda.

Tra non poche titubanze - in larga misura legate al fatto di essere ancora entrambi in attesa di giudizio a Lecco in quanto esecutori materiali del delitto - hanno deposto Fabio Citterio, 46 anni, lui pure di Lurago, e sua cugina Tiziana Molteni, casa a Dolzago ma natali a Inverigo, “controinterrogata” dalla difesa dell’imputato dopo avere già risposto alle domande del pm nel corso dell’udienza precedente, lunedì 31.

La testimonianza più drammatica è stata, ovviamente, quella di Citterio, un programmatore informatico separatosi dalla moglie e tornato a vivere con la madre, sciaguratamente vicina di casa di Pirrotta. Proprio lì, a Lurago, Citterio e la cugina sarebbero stati “agganciati” dal presunto mandante del delitto - o più verosimilmente da uno dei mandanti - che convinse entrambi, in cambio di un compenso di 3mila euro a testa, a organizzare una spedizione punitiva a casa della vittima, uno che non li aveva mai visti in vita sua e che la sera del 10 maggio morì ammazzato da un colpo di pistola al collo nel garage di casa, dopo aver pregato la sua compagna di portare via la loro bambina, perché non vedesse.

Il movente, lo ricordiamo, sarebbe da ricercarsi, secondo la Procura, nel fatto che Caroppa fosse da anni sentimentalmente legato a una donna - la mamma di quella bimba - che in precedenza era stata la compagna di Alberto Ciccia, piccolo boss originario di Melicucco (Reggio Calabria) ma residente a Renate Brianza, in galera a Terni per non uno ma tre omicidi commessi a Briosco.

Quindi: Ciccia vuole lavare l’offesa nel sangue, incarica Pirrotta di reperire un paio di sicari (forse con l’ulteriore tramite di un altro soggetto, Salvatore Inzitari), che vengono identificati nei due cugini. Citterio - riferiscono i due ai giudice - racconta loro che in cambio del denaro bisogna minacciare il violentatore di una ragazzina di 12 anni. Così Pirrotta - che ovviamente nega su tutta la linea - li arma e li trascina a casa del malcapitato.

Ecco cosa ha raccontato ieri in aula Citterio, richiamando anche l’espediente con cui indussero la vittima ad aprire la porta di casa, avendogli fatto bere la bufala di un contatto fortuito tra la loro e la sua auto, e dopo aver sostenuto che fosse necessario procedere a una constatazione amichevole: «Di quella sera ricordo poco o nulla, perché avevo bevuto molto, avevo consumato cocaina e poi altre quattro o cinque grappe, nel bar fuori casa. Andiamo a Paderno con due macchine, io e Pirrotta su quella di mia madre, mia cugina con la sua. Quando quell’uomo ci apre il garage, Tiziana comincia a insultarlo: sei un bastardo, sei un pedofilo, hai violentato una ragazzina... Poi tira fuori il coltello ma lui le afferra le mani per fermarla, e allora io estraggo la pistola...». Caroppa vede l’arma e gli si scaglia addosso: «Mi sono abbassato - ha detto ieri Citterio con la voce roca, sgranando gli occhi dietro gli occhiali - Ed è partito il colpo... Poi siamo fuggiti. I carabinieri sono venuti a prendermi a casa verso le cinque e mezza del mattino. Non sapevo neppure di averlo ucciso. Me l’hanno detto in carcere due giorni dopo». Si torna in aula lunedì, giorno 14.

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