Uccise per conto del boss
Il pm: «Ergastolo»
Delitto di Paderno, per il luraghese Santo Pirrotti chiesto il massimo della pena: «Reato disumano e brutale»
Sei anni dopo la strage di Erba, lo spettro di un ergastolo riappare tra gabbie e scranni dell’aula della corte d’Assise del tribunale di Como, nel processo contro Santo Valerio Pirrotta, il luraghese di 45 anni (originario di Vibo Valentia) imputato della morte di Antonio Caroppa, operaio di Paderno d’Adda freddato a 40 anni la sera del 10 maggio del 2012 nel garage di casa con un colpo di pistola alla gola.
Ieri mattina, al termine della sua requisitoria, il pm della Procura di Lecco Rosa Valotta ha invocato per l’imputato il carcere a vita con sei mesi di isolamento diurno, la pena più alta contemplata dal nostro ordinamento, una sorta di sentenza capitale, lapide e fossa di un processo e di una vicenda in cui brutalità e delirio si mescolano in un abisso di disumanità: «Pirrotta - ha detto il pm - ha calpestato i valori sacri della vita e il senso stesso della convivenza sociale».
Stefania, la compagna del boss
Se il prossimo 13 novembre - data in cui è prevista la sentenza - il tribunale dovesse accreditare la sua versione dei fatti, allora sarà davvero difficile darle torto. Perché Pirrotta, ha detto il pubblico ministero, era l’uomo cui, attraverso un intermediario, era stato affidato l’incarico di lavare nel sangue l’offesa patita da un ergastolano calabrese per anni residente a Renate, tale Alberto Ciccia, in carcere a Terni per tre omicidi commessi a Capriano di Briosco nel 1996. Condannato all’ergastolo e con tanto tempo a disposizione per meditare, Ciccia - nella lettura della Procura - avrebbe trascorso gli ultimi anni a meditare sulla sua ex compagna, Stefania Iannoli, che dopo aver capito di avere condiviso parte della sua vita con un assassino, nel 2003 aveva deciso di piantarlo e di ricostruirsi una nuova esistenza: «Fa quello che vuoi - le aveva detto il fratello di Ciccia il giorno in cui Stefania si era presentata a casa sua per riconsegnare un po’ di cose che appartenevano al suo ex - Ma sappi che prima o poi te la farà pagare».
Salvatore Inzitari, un amico di Ciccia - ma tanto amico da essersi addirittura assunto, al tempo, la responsabilità di quei tre cadaveri di Briosco - sarebbe stato l’intermediario tra il boss recluso a Terni (un posto in cui, a quanto pare, basta affacciarsi a una finestra sul retro per comunicare con chi sta in strada) e il buon Pirrotta, pluripregiudicato sempre a caccia di affari, cui affida l’incarico di giustiziare l’uomo con cui Stefania ha ricominciato a vivere, e dal quale ha avuto anche una bimba: «Antonio Caroppa era un uomo mite e pacifico, dedito a famiglia e lavoro. Un operaio onesto...».
Ancora il pm: Pirrotta ne trova altri due come lui, Tiziana Molteni, 53 anni di Inverigo e suo cugino Fabio Citterio, 46, programmatore di Lurago, l’una e l’altro in cronica astinenza di denaro. «Sono persone che dimostrano una certa tendenza a delinquere, una notevole capacità criminale, gente che, appena la settimana prima del delitto, tenta un furto in una casa di Costa Masnaga travestita da tecnico dell’Asl, mentre Pirrotta, come farà poi la sera dell’omicidio, li aspetta in macchina», direttore spietato di questa sgangherata orchestra.
Nega, Santo Valerio - che per tutta la giornata di ieri non ha fatto che scuotere il capo, reclinare la testa tra le mani, bere acqua e piangere nella gabbia dell’Assise - eppure, ha ricordato il pm, la stesura del progetto esecutivo sarebbe opera sua: in cambio, i due killer - che venti giorni fa a Lecco sono stati condannati a trent’anni per questo delitto, ma con rito abbreviato - avranno 3300 euro e mezzo etto di cocaina.
Ammazzato nel garage di casa
Antonio muore nel garage di casa alle dieci di sera. Lo fanno scendere con una scusa. Al citofono Tiziana Molteni gli dice di essere lì per una constatazione amichevole, farnetica di un inesistente incidente d’auto risalente a qualche giorno prima. Lui, che si fida di tutti, apre e va incontro agli assassini, benché la sua compagna, che sospetta qualcosa, tenti inutilmente di dissuaderlo. Bum.
Il colpo riecheggia nel vicinato pochi istanti più tardi, mentre Stefania chiede aiuto tenendo stretta a se la figlia aggrappata ai campanelli dei vicini. In auto, ad aspettare i due assassini, c’è Pirrotta. E la missione può dirsi compiuta.
Omicidio premeditato e pluriaggravato. Ergastolo, chiede il pm. Poi due ore di arringhe difensive: prove insufficienti, movente debole, indagini incomplete dicono i difensori Marco Rigamonti e Stefano Di Donna. «Che bisogno aveva Pirrotta di andare sulla scena del delitto per non scendere neppure dall’auto? Fosse rimasto a casa, avrebbe ottenuto il medesimo risultato creandosi anche un alibi. La verità è che non c’entra nulla». Si torna in aula il 13 novembre, per la sentenza. Ore 9.n
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