Cronaca
Martedì 17 Gennaio 2023
Un arresto preparato a lungo e un covo di sorprese: le novità su Messina Denaro
Il caso La dinamica dell’arresto che ha visto il coinvolgimento di centinaia di uomini delle forze dell’ordine, coordinati dal procuratore di palermo Maurizio De Lucia. Individuato e perquisito il luogo in cui viveva: tra scarpe griffate e viagra
Come si trova un uomo che non vuole farsi trovare? È la domanda che tutti ci siamo fatti in questi trent’anni intercorsi tra l’ultimo avvistamento di Matteo Messina Denaro e la sua cattura avvenuta ieri, nella clinica privata La Maddalena, di Palermo.
Innanzitutto, quando si parla di un latitante mafioso, la storia delle indagini e degli arresti precedenti fa da maestra: i boss mafiosi (in particolare quelli legati alla mafia siciliana) in latitanza perlopiù restano nel loro territorio. I motivi sono due e sono molto evidenti, come spiega Roberto Saviano, in un articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera e in un’intervista rilasciata alla Stampa. In primo luogo, perché allontanarsi da un territorio significa faticare a gestire il potere e gli affari che lì hanno luogo, significa quindi doversi affidare a qualcuno e questo per un capo mafioso è molto pericoloso: si rischia di alimentare ambizioni e lasciare spazio a un “vicere” pronto a prendere le proprie veci. Il secondo motivo è altrettanto evidente: per un boss mafioso è molto più sicuro stare in un posto dove si ha controllo su tutto e su tutti, si viene avvisati di ogni pericolo e ci si può spostare contando su una fitta rete di collaboratori, alleati o anche persone spaventate e disposte a fornire aiuti piuttosto che subire ritorsioni.
Così, il fatto che ieri Matteo Messina Denaro sia stato arrestato proprio a Palermo non deve stupire. Anche il suo maestro, Totò Riina, venne arrestato a Palermo; così Bernardo Provenzano che fu preso nel cuore dei suoi territori, ovvero nella campagna di Corleone e diversi altri. La conferenza stampa che si è svolta ieri pomeriggio, a qualche ora dall’arresto di Matteo Messina Denaro, ha visto come protagonisti Maurizio De Lucia, capo della procura di Palermo, e Pasquale Angelosanto, generale del Ros.
«Dopo un percorso investigativo durato molti anni - ha chiarito quest’ultimo nel corso della conferenza stampa - nell’ultimo periodo abbiamo acquisito elementi di indagine che ci hanno permesso di concentrare l’attenzione sulla sua salute e sul fatto che stesse frequentando strutture sanitarie per curare la sua malattia».
Come si è potuto vedere in numerosi video girati sui social, il latitante mafioso è stato arrestato e condotto senza manette sui mezzi delle forze dell’ordine. Queste sin dalla prima mattina di ieri si sono disposte in due livelli di cinturazione intorno e all’interno della clinica privata La Maddalena. «Per l’arresto sono stati fondamentali riservatezze e rapidità - ha raccontato infatti il generale del Ros - nel breve volgere di poche settimane abbiamo messo insieme gli elementi che ci hanno portato a individuare una data, quella di oggi (ndr. 16 gennaio) in cui il ricercato si sarebbe sottoposto ad accertamenti clinici».
La casa di cura è stata circondata da decine di uomini del Ros, armati e con volto coperto, mentre i pazienti si sono resi conto solo in seguito di quanto stava accadendo. Come è emerso dalla conferenza stampa, si è trattato di un’indagine condotta secondo metodi tradizionali, senza pentiti o confessioni anonime: la strategia è stata la stessa che aveva portato all’arresto di Provenzano.
Ma sulle tempistiche che l’indagine ha richiesto, De Lucia ha ben più di qualcosa da dire: «Abbiamo dovuto prosciugare l’acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favboreggiatori, ma una fetta della borghesia lo ha aiutato». Sono stati i familiari del boss i principali intercettati che hanno reso possibile venire a conoscenza delle sue malattie, dalle quali l’inchiesta è partita e grazie alle quali si è conclusa con le parole del latitante stesso, pronunciate al carabiniere del Ros che stava per arrestarlo: «Mi chiamo Matteo Messina Denaro».
Dopo essere stato arrestato, Messina Denaro è sbarcato con un volo militare all’aeroporto di pescara: il boss con ogni probabilità verrà detenuto nel carcere dell’Aquilo, struttura di massima sicurezza, in prossimità di un ospedale oncologico. Il suo arresto però non ha fermato le indagini che sono proseguite nel trapenese con lunghe perquisizioni tra Castelvetrano e Campobello di Mazara. Nel centro abitato di quest’ultima località è stato individuato oggi, 17 gennaio, il nascondiglio che ha ospitato il boss negli ultimi mesi di latitanza.
All’interno del covo sono state trovate scarpe griffate, vestiti di lusso, un frigorifero pieno di cibo, ricevute di ristoranti, pillo di viagra e profilattici: elementi che hanno permesso di ricostruire la vita condotta dal capo di Cosa Nostra nell’ultimo periodo precedente l’arresto. L’abitazione era intestata a quello stesso nome con cui Messina Denaro era registrato nella casa di cura di Palermo: Andrea Bonafede, geometra prestanome ora posto sotto indagine. Non sembra però, per il momento, che nel covo siano stati trovati gli elementi più ricercati dagli inquirenti: documenti che permettano di carpire i segreti del boss mafioso, tra cui il contenuto della cassaforte di Totò Riina che sarebbe stata portata via dalla casa di via Bernini, mai perquisita. Si sospetta quindi l’esistenza di un secondo immobile dove reperire questo tipo di documentazione, molto preziosa ai fini delle indagini che infatti ora si stanno concentrando su alcune persone che possono aver aiutato Matteo Messina Denaro nell’ultimo periodo. Per esempio, la carta d’identità falsa intestata ad Andrea Bonafede ha il timbro autentico del comune di Campobello di Mazara.
© RIPRODUZIONE RISERVATA