Mancano gli ordini
Il tessile di Como
taglierà i posti di lavoro?

Allarme lanciato da Gianluca Brenna: «Ancora un po’ così e si bloccherà tutta la filiera». Federico Curti: «In pericolo il 30-40% degli addetti»

A una settimana dalla riapertura, a ipotecare il futuro della filiera tessile comasca è il lockdown degli ordini. L’allarme arriva sia dalle grandi aziende verticalizzate sia dai terzisti, tinto stamperie in primis.

«Sì, abbiamo riaperto a ranghi ridotti per chiudere le consegne rimaste in sospeso, ma i nuovi ordini scarseggiano. Avanti così e si bloccherà di nuovo tutta la filiera» dice Gianluca Brenna della Stamperia di Lipomo.

L’imprenditore non vede grandi prospettive: «Il retail è più o meno fermo in tutto il mondo, tanti marchi e rivenditori hanno definitivamente abbassato le saracinesche, i big brand stanno pensando cosa fare delle collezioni pronte e ricalibrando le uscite. E poi come si tornerà a comprare? Molti sperano nel cosiddetto “revenge spending” cioè in un’impennata dello shopping dopo un periodo di repressione, ma potrebbero esserci in vista dei cambiamenti radicali legati all’incertezza della situazione economica. A questo punto la catena produttiva subirà un drastico rallentamento, con effetti disastrosi».

È pronto a seguire l’esempio del collega, Dario Garnero della Stamperia S.S.I. Stamperia Serica Italiana. «Abbiamo ripreso l’attività di corsa per completare degli ordini in lavorazione che dovevano assolutamente essere consegnati, ma al momento sta arrivando solo qualche richiesta di campionatura. Sta saltando di fatto una stagione. Senza commesse, bisognerà chiudere e rimettere i dipendenti in cassa integrazione».

Situazione drammatica

Si fa portavoce di una situazione sempre più drammatica anche Federico Curti, Presidente della Stamperia di Cassina Rizzardi, imponente azienda di nobilitazione con circa 300 addetti.

«Abbiamo organizzato una turnazione e continuiamo a produrre anche quantitativi minimi per assicurare un servizio ai clienti. Però lavoriamo in perdita, dai 20 ai 30 mila euro al giorno. I costi non si sono dimezzati perché gli impianti funzionano al 100%. Se va bene, riusciremo a contenere attorno al 20% il passivo nell’esercizio 2020”.

L’industriale è deciso a resistere, mettendo mano anche al portafoglio. Di fronte un quadro di grande complessità. «Bisognava aprire a inizio aprile - evidenzia - così da prendere l’ultima coda dell’estivo e le campionature dell’inverno. Mentre Como era ferma, importanti gruppi del fast fashion si sono rivolti ad altri fornitori in Turchia e in Marocco con mano d’opera a minor costo, che non aspettavano altro. E quando un cliente cambia strada, non è facile farlo tornare indietro».

Di fronte al pesante calo dei ricavi, Curti prospetta un’unica soluzione per evitare il collasso di tante piccole e medie realtà che non hanno più risorse: aiuti finanziari offerti dallo Stato al fine di preservare il mercato e l’occupazione. Ad esempio: per due anni la sospensione del versamento dei contributi, se non si licenzia. «Se si riduce il fatturato, cominceranno i primi licenziamenti e nel distretto vedo a rischio il 30-40 % dei posti di lavoro: professionalità e competenze che non si potranno più recuperare».

«Gli ordini nuovi si contano sulla dita di una sola mano- fa sapere anche Enrico Canu di Artestampa- Quando c’è stato lo stop avevamo un carico per un mese che alla riapertura, dopo oltre 60 giorni di annullamenti alle spalle, si è dimezzato».

Gli insoluti

Sulla stessa lunghezza d’onda Stefano Luraschi di Seride «Chiusi i negozi, cancellate le sfilate Cruise che si tengono tra aprile e maggio, rimandate le settimane della moda maschile di Londra e Parigi e cancellata anche l’haute couture, arriva solo qualche campionatura per l’estate 2021 e non vedo nessuna luce in fondo al tunnel».

Ad aggravare la situazione, di suo già molto critica, ci sono poi gli insoluti. «Il 95% delle scadenze di marzo non è stato rispettato - rimarca l’imprenditore - I grandi nomi del lusso hanno prorogato i pagamenti di 30/60 giorni, qualcuno ha preteso di slittare a 120 giorni. Qualcun altro ha avanzato addirittura la pretesa di avere uno sconto del 30% sulla merce già consegnata. Solo i confezionisti tedeschi sono stati puntuali. Noi abbiamo saldato tutte le fatture di marzo, ma se non c’è ripresa non ci sono soldi per gli impegni di aprile».

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