«Quasi 75mila frontalieri
Sono troppi ed è un danno
anche per l’Italia»

Intervista a Marco Chiesa, consigliere agli Stati ticinese e presidente della delegazione svizzera che si confronta con Roma sull’accordo fiscale

«Alla fine, l’impressione è che l’Italia abbia l’intenzione di inserire nell’agenda politica il nuovo accordo fiscale sui frontalieri. Con un distinguo. Noi, in Svizzera, andremo in aula a marzo. Non credo che il vostro Paese possa rispettare questa data». Il presidente della delegazione svizzera per le relazioni con il Parlamento italiano, il consigliere agli Stati ticinese Marco Chiesa (Udc), ha lasciato Roma ieri ancora con diversi dubbi da sciogliere sull’iter del nuovo accordo fiscale sottoscritto dai due Paesi lo scorso 23 dicembre.

Avete deciso di stringere i tempi?

Era l’iter che ci eravamo prefissati e che in linea di principio rispetteremo. Andremo in Parlamento con il nuovo accordo fiscale a marzo. In Italia, non c’è ancora una data neppure per le Commissioni. Non entro nelle dinamiche italiane. Mi limito solo ad evidenziare la differenza d’impostazione sui due lati del confine. Sarebbe importante avere qualche indicazione più precisa dall’Italia. Se non figura neppure nelle Commissioni, credo che l’iter per arrivare in Parlamento non sarà celere.

C’è bisogno di questo nuovo accordo?

Non mi dilungo sulle motivazioni che hanno portato i due Paesi a sottoscrivere un nuovo accordo. Sto all’attualità, che in Ticino parla di 74199 frontalieri, con un aumento del 3,9% su base annua. Il dato oggettivo dal nostro punto di vista è che con l’entrata in vigore della libera circolazione i frontalieri sono più che raddoppiati, passando da 35 mila agli oltre 74 mila di settembre. Il nuovo accordo serve a portare un certo tipo di equità fiscale su entrambi i lati di confine. Noi lo intendiamo come un utilissimo elemento di lotta al dumping salariale. Ricordando che i frontalieri oggi impiegati in Svizzera manterranno lo status quo. Avremmo preferito una risposta immediata, sul versante ticinese, rispetto a queste nuove dinamiche. In realtà è stato pensato un doppio binario tra vecchi e nuovi frontalieri, con questi ultimi tutelati in tutto e per tutto.

Il nuovo accordo ha blindato i ristorni fino al 2033. La Lega dei Ticinesi ne ha più volte chiesto il blocco. Ci è riuscita una sola volta nel 2011. Si è arrivati al limite?

Credo che il nuovo accordo preveda un sistema molto più chiaro per la ripartizione di questi importanti fondi rispetto all’attuale. Toccherà poi al vostro Governo ripartire questi fondi. Ma sono dinamiche che esulano dalle nostre competenze. È chiaro che stiamo ragionando su numeri e cifre in continua crescita.

Sono troppi 74199 frontalieri in Ticino?

Sì. Ritengo e l’ho ritenuto in tutte le sedi parlamentari (e non) che fino a quando c’è un’immigrazione “complementare” i problemi non sussistono. Si riempiono - per usare una dizione efficace - degli spazi liberi sul mercato del lavoro. Quando l’immigrazione diventa un’inondazione - mi sia concesso il termine - hanno tutti da perderci. Oggi in Ticino siamo vivendo una situazione particolare. I ticinesi che si formano in Svizzera interna rimangono in quei Cantoni perché trovano occasioni di lavoro e opportunità migliori rispetto al nostro Cantone. E questo non va bene nelle logiche ticinesi. Attenzione però, mi preme una sottolineatura.

Quale?

Di fronte ai numeri attuali, con i frontalieri impiegati in Ticino a un’incollatura da quota 75 mila non si può negare che qualcosa non funziona anche sul versante italiano. Credo che l’esodo verso il Ticino sia anche una diretta conseguenza dell’impoverimento del tessuto del Belpaese. Non si spiegherebbe altrimenti, al di là delle logiche legate al salario, questo continuo aumento di frontalieri nel nostro Cantone. Quella dell’impoverimento del vostro tessuto economico è una riflessione che spero non passi inosservata.

C’è un altro tema che ha creato e sta creando frizioni tra Svizzera e Italia, vale a dire l’accesso delle banche svizzere al mercato italiano. C’è stato qualche passo in avanti in questa direzione?

Il nostro Governo e la nostra Ambasciata in Italia hanno ben presente l’argomento. La verità sta nel fatto che la Svizzera ha dato seguito a tutte le richieste del vostro Paese legate ai dati bancari (il tema è quello delle black list, ndr). Noi abbiamo dato risposte concrete alle richieste italiane. Ora ci aspettiamo che Roma riconosca l’accesso ai mercati finanziari da parte della Svizzera.

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